Vi racconto una storia. È la mia storia con il Tai Chi.
Anni fa lavoravo in un’azienda molto “illuminata”, la cui la titolare (illuminata) a fine anno regalò a tutti i dipendenti una visita da un medico specializzato in medicina cinese. Il medico, italiano, con varie specializzazioni di medicina moderna, ma che poi aveva deciso di praticare solo medicina cinese, ad ognuno fece la terapia che riteneva utile. A me fece sia l’agopuntura che la coppettazione.
Poi mi consigliò di praticare il Tai Chi.
Così mi informai, comprai dei libri, trovai un corso in un paese vicino a dove abitavo e decisi di fare la lezione di prova.
Il corso era serale, alle 19.00. Ma io lavoravo a Firenze, finendo sempre oltre l’orario standard delle 18.00. Tra spostamenti a piedi, treno, più macchina/moto per raggiungere la palestra dove si praticava Tai Chi, un’ora di viaggio era il minimo tempo possibile. Mi dissi che era l’occasione giusta per staccare di lavorare alle 18.00 e decisi di provare.
Alla prima lezione di prova arrivo puntuale, mi cambio e inizio la pratica. Non ci capisco nulla, sono scoordinato e impacciato nei movimenti, ma l’energia del gruppo mi piace e decido subito di fare l’iscrizione associativa e pagare i primi mesi.
Alla seconda lezione faccio notte a Firenze, perché qualcuno si è buttato sotto al treno da qualche parte sulla linea di collegamento con il mio paese.
Alla terza lezione c’è sciopero del trasporto pubblico e arrivo a fine lezione. Nemmeno mi cambio, ma mi scuso con l’insegnante e spiego che non è dipeso da me.
Alla quarta lezione, succede un’urgenza lavorativa molto complessa da gestire ed esco dall’ufficio dopo le 21.00.
Alla quinta lezione, di nuovo un incidente sui binari (questa volta non volontario, ma comunque mortale).
A questo punto, per il bene di tutta l’umanità, decido di chiudere la mia esperienza con il Tai Chi. Quando mia moglie mi chiede perché, le rispondo, sorridendo, che non volevo altri incidenti sulla coscienza.