La sfida di questa quarantena l’ho persa. La consapevolezza di ciò
ha un sapore amaro.
Dopo “appena” 38 anni di vita, mi sono fatto un’idea del perché
sono venuto al mondo. Tra studi di filosofia, religione, Cabala, esoterismo, una
qualche idea del senso della Vita me lo sono fatto: siamo qui a giocare un
complesso gioco, nel quale siamo chiamati ad esprimere la versione migliore di
noi.
Che è il modo di tornare all’Uno dal quale proveniamo, sentendoci parte, “essendo” parte del Tutto che ha giocato al gioco della Separazione, affinché potesse meritarsi la ricompensa dell’essere Uno. Dell’Essere.
Che è il modo di tornare all’Uno dal quale proveniamo, sentendoci parte, “essendo” parte del Tutto che ha giocato al gioco della Separazione, affinché potesse meritarsi la ricompensa dell’essere Uno. Dell’Essere.
Le difficoltà esterne, come questa emergenza da Coronavirus,
accelerano le dinamiche della sfida e possono portarci agli estremi: diventare
migliori o peggiori.
Ecco, io dopo più di 2 mesi di isolamento e 38 anni di gioco nel gioco
della Vita, mi sono reso conto di aver perso. O di stare perdendo, se vogliamo essere ottimisti e sperare in un
goal nei minuti di recupero.
Il motivo? Sinceramente non lo so.
Sicuramente non basta conoscere, o credere di conoscere, le regole del gioco, per andare a meta; serve allenamento, focus sull’obiettivo, determinazione e, soprattutto, essere disposti a perdere tutto.
Sicuramente non basta conoscere, o credere di conoscere, le regole del gioco, per andare a meta; serve allenamento, focus sull’obiettivo, determinazione e, soprattutto, essere disposti a perdere tutto.
Questa quarantena mi ha posto di fronte a scelte che mi si
ripresentano da anni: quanto tempo dedicare al lavoro, quanto alla famiglia,
per cosa lottare, cosa lasciar perdere, dove essere determinato, dove essere
flessibile, a cosa rinunciare, a cosa puntare.
Noi scegliamo ogni singolo istante della nostra vita, e le scelte
sono alla base del gioco.
In questa quarantena ho scelto di lavorare mediamente 14 ore al
giorno (2-3 ore in più di quanto facevo prima), pur avendo 3 figlie a casa cui
badare.
Ho scelto di dare loro l’attenzione e il tempo che si dà ad una call sbrigativa e sgradita, che ti capita in mezzo ad un serrato piano di lavori.
Ho scelto di dare loro l’attenzione e il tempo che si dà ad una call sbrigativa e sgradita, che ti capita in mezzo ad un serrato piano di lavori.
Ho scelto di ritirarmi “in trincea”, come ormai chiamo il mio
angolo computer sul soppalco di casa, come gesto di resistenza estrema all’emergenza
che ci vuole proni.
Ho scelto di resistere a modo mio, tuffandomi nel lavoro e dedicandomi ancora di più agli obiettivi dei miei clienti. Ma ogni notte fatico ad addormentarmi, nonostante l’ora tarda.
Ho scelto di lavorare e non fatturare, per essere solidale con chi è fermo per decreto. Ma ogni istante calcolo le probabilità di insoluti futuri e tremo all’idea che il mio ipotetico altruismo non sia mai riconosciuto.
Ho scelto di resistere a modo mio, tuffandomi nel lavoro e dedicandomi ancora di più agli obiettivi dei miei clienti. Ma ogni notte fatico ad addormentarmi, nonostante l’ora tarda.
Ho scelto di lavorare e non fatturare, per essere solidale con chi è fermo per decreto. Ma ogni istante calcolo le probabilità di insoluti futuri e tremo all’idea che il mio ipotetico altruismo non sia mai riconosciuto.
Ho scelto, e scelgo ancora, di irritarmi se la casa non è gestita
alla perfezione, se le bambine costruiscono barricate per ritagliarsi propri
spazi franchi, che intralciano il mio prendermi cura di loro.
Ho scelto di non leggere, cosa che da sempre amo fare, perché mi
sembra un lusso che non posso permettermi, quando c’è così tanto da fare.
Ho scelto di considerare mia moglie un nemico, un “altro da me”
che non mi capisce e che non comprende l’importanza delle mie scelte. Ho scelto
di vivere una vita parallela, in trincea, mentre lei combatte in campo aperto.
Ho scelto, e scelgo ancora, l’opposto di ciò in cui credo. E non
mi capacito del perché.
Talvolta trovo qualche scusante, ma non ci credo davvero.
Una di queste scuse è che io sia una vittima, quando non ho saputo
essere un eroe.
Ho visto un film, nei frangenti di tempo tra la fine del lavoro a
computer e l’andata a letto, che ho trovato toccante per molti versi. Il film
si chiama “La Trincea Infinita”, ed è ambientato ai tempi della guerra civile
spagnola (1936-1939), che si trascina fino all’amnistia tre decenni dopo. Un
film che, in questi tempi di quarantena, qualsiasi persona sposata, dotata di
senso critico, dovrebbe vedere.
C’è il senso della privazione, c’è il senso dell’amore. E anche
tutte le sfumature intermedie.
Mi è rimasto impresso un dialogo immaginario, avvenuto durante un sogno del protagonista (Higinio Blanco), tra lui e un soldato da egli ucciso:
Soldato:
"Sei molto coraggioso. Tanto coraggioso da non esserti neanche tolto la
vita. Credo tu sia stanco di sentirtelo dire, ma poche persone avrebbero
sopportato questa cosa con la tua integrità."
Higinio:
"Grazie."
Soldato:
"Forse la paura che hai avuto non ti farà passare da eroe, ma ciò non
toglie che tu sia stato una vittima."
Higinio,
fra le lacrime: "Grazie."
Ecco, da perdente, da persona che non ha saputo perdonare, che non
ha saputo scegliere la Luce, che non ha saputo essere migliore, rimane la scusante che
forse la sfida che mi si è parata di fronte sia stata davvero troppo ardua per le mie forze.