Ho quindi pensato di sciogliere ogni dubbio, definendolo un romanzo "necessariamente" storico. Ecco il perché...
Il Tempo Medievale nel libro Il silenzio della cattedrale
Un “dove” non solo geografico, ma demografico, sociale e soprattutto temporale.
Ci sono storie che, pur potendo essere narrate in una certa ambientazione, in un certo luogo e un certo tempo, non perderebbero di fascino e completezza se traslate in un altro luogo, o in un altro tempo. Certe altre, invece, il “dove” se lo portano dietro, è un tutt’uno indissolubile con i personaggi, magari perfino con la trama.
Io credo che il buon romanzo storico appartenga a questa seconda categoria; si tratta quindi di una storia che non poteva essere narrata in altro tempo se non quello in cui l’autore ha scelto di ambientarla.
Questo è il caso del libro di Baldazzi “Il silenzio della cattedrale”.
La rigorosa ricerca storica dell’autore, l’intrecciarsi di fatti realmente accaduti con le vite dei personaggi, le digressioni sugli usi e costumi dell’epoca, sono sì collegati al “dove” del romanzo, ma lo sono in maniera secondaria rispetto ad un altro aspetto a mio avviso cruciale. C’è infatti, nascosto nella storia, un protagonista taciuto, un tema centrale eppure velato, un fulcro nella trama attorno al quale girano le vite dei personaggi, come in un carosello circolare dai ritmi certi e inevitabili. Questo protagonista è il Tempo.
O meglio, una certa concezione del tempo, in transizione verso un’altra.
Baldazzi, con rapide e precise pennellate, dipinge un Medioevo insieme doloroso e meraviglioso, che passa lento, lento come era in effetti la concezione del tempo in quell’epoca storica. Un tempo scandito dall’alternanza delle stagioni, dai cicli di morte e rinascita della natura, un tempo scandito dalla preghiera, da Mattutino a Compieta, un tempo che serve all’autore per raccontare le vite di una pluralità di personaggi che compongono la sua grande opera.
Questo tempo “medievale”, in cui il presente è l’unica coniugazione concepibile, inizia a dilatarsi verso un futuro capace di guidare e ispirare i protagonisti del romanzo, una visione appunto più “rinascimentale”, in cui l’uomo diviene artefice del proprio destino.
I protagonisti del romanzo si imbarcano in un progetto più grande di loro, di cui faticano perfino ad immaginare la conclusione, essendo spostata di decenni nel futuro. Vivono quindi il presente e vivono per il presente, ma con uno sguardo alla “Visione” della cattedrale ultimata, che dà loro un senso e traccia una rotta lungo la quale si muovono.
Si capisce quindi la lezione più importante di Baldazzi: non importa la meta, ma vivere bene durante il viaggio. E Baldazzi non poteva collocare una simile lezione in un periodo diverso da quell’epoca sospesa tra il ‘300 e il ‘400, epoca i cui l’uomo si ripensa e rivede le proprie concezioni su tutto il Creato. Quel tempo era un “tempo saggio”, che dal Rinascimento in poi accelererà vorticosamente fino a scadere nella frenesia che caratterizza la contemporaneità.
Ma per un po’, in un preciso momento storico, forse l’uomo ha saputo bilanciare la poesia del presente con la forza della progettualità per il futuro.
Non è superfluo osservare che l’autore scrive nel “nostro” tempo, veloce e orientato alla produttività, tempo così diverso da quello dei protagonisti del suo romanzo. Ecco quindi che pare guidare il lettore in un cammino esperienziale, esortandolo implicitamente a riappropriarsi del suo tempo. Sono convinto che questa sia una delle ragioni per cui Baldazzi ha scritto un libro voluminoso: perché lento doveva essere il dispiegarsi della trama e lenta doveva essere la lettura stessa, affinché non assomigliasse ad un gesto “di consumo”, come sovente avviene oggigiorno per il prodotto libro.
La lettura di questo romanzo “necessariamente” storico diviene così un cammino, un percorso verso i significati che l’autore vuole comunicare. A partire, appunto, da una visione del tempo più saggia di quella che imperversa “nel nostro tempo.”