Il primo giorno fui cooptato nel gruppo che doveva scrivere il comunicato stampa per i giornali. 5 donne ed io. Era un cosa che avrebbe richiesto massimo 30 minuti, ma durò diverse ore, perché, ahimè, i collettivi non votano, decidono all'unanimità. E per raggiungere l'unanimità ci volevano innumerevoli discussioni.
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Insomma, non se ne usciva. In tarda serata, una delle 5, orgogliosamente lesbica, mise in discussione anche il femminile, e propose una soluzione rispettosa di tutti i generi: l'asterisco. Alle undici di sera ero pronto a cedere su tutto, ma non sulla distruzione di un copywriting che fosse un minimo leggibile. Mi alzai sconfitto e me ne andai a dormire nel sacco a pelo.
Il giorno dopo lessi sul quotidiano locale "Noi student*, stanch* dei tagli del Governo, rivendichiamo..." e così via per 1000-1500 battute.
Era il comunicato meno chiaro che avessi mai letto, ma sorrisi tra me e me: almeno l'avevano consegnato in tempo.
La storiella non ha una morale, non è una presa di posizione sulla questione di genere, non significa che io preferisca evitare gli asterischi.
È solo un modo di condividere un pensiero che, oggi come allora, mi torna in mente quando si parla "sui generis": non abbiamo gli strumenti gnoseologici, culturali e perfino linguistici per confrontarci con le sfide che ci pone "la relazione".
Quando, nella storia dell'umanità, non ci si curava di questo aspetto e le forme della relazione tra individui erano dettate dal potere dominante, il problema non si poneva (vedi la regola grammaticale di cui sopra, dove il maschile prevale sul femminile).
Ma oggi è diverso. E dobbiamo avere la capacità di mettere "la difesa della relazione" prima della difesa della nostra opinione.