Già vista, già discussa fra addetti del settore, già obsoleta nei temi e nel suo evolversi. L'ho percepita vecchia non solo nel dispiegarsi dello storytelling sui social media, ma anche per le discussioni sull'advertising in sé che avrebbe generato.
Se non avessi letto un articolo di Paolo Iabichino (Il crashtag di Enel), quindi, avrei evitato la mia parte di colpevolezza nel prendere parte alla discussione. Ma stimo Iabichino come pubblicitario e raramente sono in disaccordo con le sue visioni. Provo quindi a contribuire con il mio punto di vista.
La campagna è completamente sbagliata. Ed è sbagliato pensare che una buona fotografia, un buon concept e un buon copywriting possano rendere accettabile quello che è sbagliato dalle fondamenta: toccare le leve emotive di chi davvero non ne può più.
Se anche avessero lanciato la campagna senza logo del cliente, non si sarebbe ottenuto molto più che una procrastinazione del giudizio di condanna, acuito probabilmente anche dall'attesa e le supposizioni sul brand sponsor di tale advertising.
Il problema è che prima di qualsiasi brainstorming creativo bisogna davvero sentire il polso del target. Con "davvero" intendo viverci un mese fianco a fianco, vedere cosa leggono, cosa mangiano, quante notti insonni passano quei #guerrieri.
Così, forse, il brillante copywriter o il marketing manager di turno avrebbe desistito. O avuto un'altra idea.
Sarà che la crisi che stiamo vivendo dura da troppo, troppo tempo. La più lunga che il mondo del marketing abbia mai affrontato. E quindi le pubblicità che fanno leva sui buoni sentimenti e il valore dei #guerrieri si sprecano.
Non occorre ricordare Piazza Italia con "I veri miracoli li facciamo noi" nel 2011 e l'attuale "Io faccio la mia parte", oppure Conad con "Persone oltre le cose". I brand che hanno deciso di percorrere questa strada sono tanti e da troppi anni.
Quando nel 2009 ci fu l'originale campagna "Per Fiducia" di Intesa Sanpaolo, io fui tra quelli che l'apprezzarono e la ritennero una grande operazione, non solo artistico-mecenatica, ma culturale e sociale.
Ma quando, all'inizio del 2012, scrissi un articolo su "L'italianità nella pubblicità (al tempo della crisi)", la misura era già colma. E mai avrei pensato che, col proseguire della crisi, sarebbe rimasto il vezzo, ai creativi svogliati, di percorrere sempre le stesse strade.
Chiunque abbia visto gli spot in TV di Enel si sarà domandato perché i pubblicitari non la smettono di far leva sulla dignità e il coraggio delle persone comuni. E me lo domando anche io.
Trovo quindi la pubblicità #Guerrieri di Enel estremamente vecchia. Perché dopo oltre 5 anni di crisi i pubblicitari potevano inventare qualcosa di più adatto al contesto.
Questo non significa che non esista un modo "tollerabile" ed insieme efficacie di parlare di crisi economica nella pubblicità. Ho trovato ad esempio ben fatta la campagna "Riparti con Eni" dell'estate 2012. Se non ricordo male, anche Paolo Iabichino ne ha scritto bene, ma la mia valutazione non è relativa solo alla tipologia di messaggio o alla scelta del testimonial nello spot televisivo (un simpaticissimo Rocco Papaleo). La carta vincente è stata lo sconto messo in campo da Eni (inusuale per gli standard del settore). C'era sempre fila fuori le pompe di servizio del gruppo petrolifero, nei giorni di sconto.
Una risposta concreta da chi possiede il potere economico, questo vogliono in tempo di crisi i consumatori; non basta più la promessa di valore o la costruzione di un valore percepito.
In tempo di crisi bisognerebbe che anche gli esperti di marketing dell'occidente industrializzato rispolverassero la Piramide di Maslow e si rendessero conto che bisogna ripartire dagli ultimi gradini, dai bisogni primari.