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30 dicembre 2013

Giving up


"Our greatest weakness lies in giving up. The most certain way to succeed is always to try just one more time."



Thomas A. Edison 



 (La nostra più grande debolezza sta nel rinunciare. Il modo più sicuro per avere successo è quello di provare, sempre, solo una volta di più.)

28 dicembre 2013

Il cambiamento, l'immobilismo e la via del giusto mezzo

Sono quasi due mesi che non scrivo sul blog. Ed il motivo è presto detto: avevo approntato un restyling del sito e volevo terminarlo prima di riprendere a scrivere.
Ma di impegno in impegno, di urgenza in urgenza, il tempo è volato e il restyling non l'ho mai ultimato.


Il grosso è fatto, ora si possono raggiungere vecchi articoli più facilmente, si può navigare fra argomenti e per immagini, c'è un link diretto nel footer a (quasi) tutti i miei profili sui social network, un link alla pagina Facebook del WWT che un giorno o l'altro mi deciderò a curare, ci sono nel menù principale i collegamenti ad altri progetti web... eppure il restyling non è completo.

Ogni volta che si decide di cambiare, si rischia di rimanere vittime del proprio desiderio di perfezione. Perfezione che ovviamente non esiste, non può esistere. Eppure si attende ad oltranza, quasi che la mera scelta di innovare abbia esaurito ogni energia da destinare alla "implementazione del cambiamento".

Ecco una conseguenza delle spinte al cambiamento: l'immobilismo. Si trova il coraggio sufficiente per lasciare il lavoro, cambiare città, ma poi ci si arresta sull'uscio, pensando che la strada che si è appena scelto di intraprendere sia troppo lunga, troppo perigliosa ed in definitiva troppo pesante per le proprie gambe.

Quindi attendevo, prima di scrivere un nuovo post; volevo che il restyling fosse ultimato o, semplicemente, temporeggiavo.
Poi mi è caduto lo sguardo su un vecchio libro che avevo letto anni fa, sul pensiero di Confucio e la Via del Giusto Mezzo.
Ed ho avuto la più semplice e sconcertante delle rivelazioni: una volta che decidi di metterti in cammino, accontentati di camminare. L'ansia dell'arrivo fa più lontana la meta e toglie piacere al viaggio.

2 ottobre 2013

Curarsi col #DataMining dalla sindrome #AntiBerlusconiana e #ScetticoGoogoliana

Questa sera ho seguito il telegiornale e le squallide vicende legate al voto di fiducia in Senato. La giornata intensa di lavoro mi aveva preservato dall'apprendere notizie tanto strampalate quanto tragiche per l'Italia.

Quasi fossi un essere di un altro sistema solare, che all'improvviso si rende conto di vivere nel pianeta sbagliato, ho guardato quegli alieni che mandavano in scena una tragi-commedia di cattivo gusto e con una doppia, se non tripla, pessima regia.
Più che sentirmi indignato, per l'ennesima volta, per lo scempio che si fa della politica, mi sono sentito di non appartenere a questa nazione, a questa gente, a questo mondo. Mi sono sentito un alieno che anela il ritorno a casa, al suo pianeta, che deve essere inevitabilmente diverso da questa Italia.

Con tali cupi pensieri in mente, sono andato sul mio blog e ho fatto un semplice esperimento di Data Mining sull'attività di copywriting di questi 7 anni di web presence (per curiosità, non per deformazione professionale).
Berlusconi batteva Google 18 a 17! Ero sconvolto. Non solo per la persistenza nei miei pensieri di un tale personaggio, ma per il fatto che più volte avevo illusoriamente pensato che fossimo arrivati alla fine del dramma, umano e nazionale, chiamato Silvio Berlusconi. E fin troppi post testimoniano tale pia illusione.

Ma non mi sono limitato a tale evidenza, da buon Data Scientist ho proseguito nell'analisi alla ricerca di significato.
Ed ho scoperto alcuni pattern ricorrenti. In entrambi i cluster (post su Berlusconi - post su Google) si riscontrano queste caratteristiche:
  • è sempre presente un tono di critica (evidente nei post su Berlusconi, velato in quelli su Google);
  • i due soggetti entrano nei post anche lì dove il tema centrale non è direttamente collegato a loro (10 post su 18 per Berlusconi, 11 su 17 per Google);
  • in 3 post i due soggetti sono simultaneamente presenti (4 con quello attuale).
Ho validato i pattern: le caratteristiche individuate sono presenti in 32 su 314 post ; 33 su 315 con questo (ben il 10,2% di tutti i contenuti pubblicati).

Ho in fine cercato di dare un'interpretazione ai pattern individuati. E la risposta è stata sconfortante: il lavoro e la politica, più che passioni, sono diventate ossessioni.

Capito il problema, mi auto-prescrivo la cura: da domani si scrive solo di #Golf.

27 settembre 2013

La stanchezza dei #guerrieri

A me la pubblicità corporate di Enel "#guerrieri" è subito sembrata vecchia.


Già vista, già discussa fra addetti del settore, già obsoleta nei temi e nel suo evolversi. L'ho percepita vecchia non solo nel dispiegarsi dello storytelling sui social media, ma anche per le discussioni sull'advertising in sé che avrebbe generato.

Se non avessi letto un articolo di Paolo Iabichino (Il crashtag di Enel), quindi, avrei evitato la mia parte di colpevolezza nel prendere parte alla discussione. Ma stimo Iabichino come pubblicitario e raramente sono in disaccordo con le sue visioni. Provo quindi a contribuire con il mio punto di vista.

La campagna è completamente sbagliata. Ed è sbagliato pensare che una buona fotografia, un buon concept e un buon copywriting possano rendere accettabile quello che è sbagliato dalle fondamenta: toccare le leve emotive di chi davvero non ne può più.
Se anche avessero lanciato la campagna senza logo del cliente, non si sarebbe ottenuto molto più che una procrastinazione del giudizio di condanna, acuito probabilmente anche dall'attesa e le supposizioni sul brand sponsor di tale advertising.

Il problema è che prima di qualsiasi brainstorming creativo bisogna davvero sentire il polso del target. Con "davvero" intendo viverci un mese fianco a fianco, vedere cosa leggono, cosa mangiano, quante notti insonni passano quei #guerrieri.
Così, forse, il brillante copywriter o il marketing manager di turno avrebbe desistito. O avuto un'altra idea.

Sarà che la crisi che stiamo vivendo dura da troppo, troppo tempo. La più lunga che il mondo del marketing abbia mai affrontato. E quindi le pubblicità che fanno leva sui buoni sentimenti e il valore dei #guerrieri si sprecano.
Non occorre ricordare Piazza Italia con "I veri miracoli li facciamo noi" nel 2011 e l'attuale "Io faccio la mia parte", oppure Conad con "Persone oltre le cose". I brand che hanno deciso di percorrere questa strada sono tanti e da troppi anni.

Quando nel 2009 ci fu l'originale campagna "Per Fiducia" di Intesa Sanpaolo, io fui tra quelli che l'apprezzarono e la ritennero una grande operazione, non solo artistico-mecenatica, ma culturale e sociale.
Ma quando, all'inizio del 2012, scrissi un articolo su "L'italianità nella pubblicità (al tempo della crisi)", la misura era già colma. E mai avrei pensato che, col proseguire della crisi, sarebbe rimasto il vezzo, ai creativi svogliati, di percorrere sempre le stesse strade.
Chiunque abbia visto gli spot in TV di Enel si sarà domandato perché i pubblicitari non la smettono di far leva sulla dignità e il coraggio delle persone comuni. E me lo domando anche io.

Trovo quindi la pubblicità #Guerrieri di Enel estremamente vecchia. Perché dopo oltre 5 anni di crisi i pubblicitari potevano inventare qualcosa di più adatto al contesto.

Questo non significa che non esista un modo "tollerabile" ed insieme efficacie di parlare di crisi economica nella pubblicità. Ho trovato ad esempio ben fatta la campagna "Riparti con Eni" dell'estate 2012. Se non ricordo male, anche Paolo Iabichino ne ha scritto bene, ma la mia valutazione non è relativa solo alla tipologia di messaggio o alla scelta del testimonial nello spot televisivo (un simpaticissimo Rocco Papaleo). La carta vincente è stata lo sconto messo in campo da Eni (inusuale per gli standard del settore). C'era sempre fila fuori le pompe di servizio del gruppo petrolifero, nei giorni di sconto.

Una risposta concreta da chi possiede il potere economico, questo vogliono in tempo di crisi i consumatori; non basta più la promessa di valore o la costruzione di un valore percepito.
In tempo di crisi bisognerebbe che anche gli esperti di marketing dell'occidente industrializzato rispolverassero la Piramide di Maslow e si rendessero conto che bisogna ripartire dagli ultimi gradini, dai bisogni primari.

24 settembre 2013

Google, don't be evil... togli il Not Provided e ridacci la Long Tail

Quando nel 2011 dirigevo il reparto di Web Marketing di Archimede, mi trovai ad affrontare il temutissimo "Not Provided" che iniziava a spuntare nei report sul traffico dei siti web per i quali curavamo il posizionamento. Il fino ad allora utilissimo Google Analytics ci forniva dettagliate informazioni su quali chiavi di ricerca usavano gli utenti per accedere ai siti dei nostri clienti ed era quindi un tool fondamentale per l'analisi della Long Tail dei siti, sulla quale basavamo gran parte della strategia SEO.

Purtroppo tale importante insight, a fine 2011, venne a mancare per tutti gli utenti che usavano i servizi di Google. Il colosso di Mountain View dichiarò che intendeva proteggere la privacy degli utenti loggati in uno dei sui servizi (da Gmail a YouTube, passando poi per Google Plus).
Ma io nutrivo dei forti dubbi in merito.
In una sessione di formazione con i colleghi anticipai che Google avrebbe nascosto dietro il "Not Provided" tutte le informazioni legate alle query di ricerca inserite nel proprio motore di ricerca.
Cosa che da ieri è realtà.
E già due anni fa ne intuivo il motivo: fare soldi, ancora di più.
Già, perché se si usa AdWords, il tool di Search Engine Marketing di Google (sempre più costoso negli ultimi anni), le KeyWord di accesso al sito si posso vedere.
Se si integra la visualizzazione dei dati di AdWords in Google Analytics, è praticamente tutto come prima, perché si hanno parole chiave di accesso e dati di traffico (contenuti visualizzati, tempo di permanenza, conversioni e flussi di navigazione). E quindi ogni SEO specialist che voglia analizzare le KeyWord di accesso al sito, da oggi in poi, dovrà necessariamente attivare una campagna AdWords. Oppure usare altre contromisure (io già da 2 anni ne ho messe in piedi alcune) per recuperare le informazioni legate alla Coda Lunga, che conserva un ruolo centrale nelle strategie di posizionamento.

Non che fare soldi sia illegittimo, ma è assurdo che le dichiarazioni dei manager di Google parlino solo di tutela della privacy (mai realmente stata a rischio, anche senza protocollo https).
C'è poca trasparenza in questo modo di agire.

Non avrei mai pensato che, proprio io, estimatore di Big G da sempre, mi trovassi, in meno di un mese, a scrivere due post di critica alle politiche di Google. Ma tant'è.
Forse Google ha dimenticato quel motto che l'ha reso tanto grande e tanto amato dagli utenti: DON'T BE EVIL.

22 settembre 2013

Lean Startup Machine in Milan

Si sta concludendo in queste ore il workshop Lean Startup Machine, per la prima volta in Italia. Avevo partecipato lo scorso aprile a Londra ed ora sono qui come mentor. Ma sempre più per imparare che per insegnare qualcosa. L'unica cosa che non mi stanco mai di dire è che il metodo Lean ti insegna "a sbagliare velocemente". L'avere successo è una conseguenza di questa importante capacità, per ogni startup.

Date un'occhiata alle landing page di validazione dei progetti, per rendervi conto della qualità delle idee in campo in questa edizione milanese:





5 settembre 2013

Perché Android 4.4 KitKat è uno Scherzo Infinito. E perché i nomi sono una cosa seria.

Ormai è sulla bocca di tutti: il prossimo Android 4.4 si chiamerà KitKat.

La tradizione dei naming del sistema operativo per dispositivi mobile di Google raggiunge il suo apice più controverso: non un generico nome di dolce, ma il nome di un brand di prodotto conosciuto e diffuso a livello mondiale.

Questa dunque l'evoluzione dei naming delle varie versioni di Android...
  • 1.5 Cupcake
  • 1.6 Donut
  • 2.0 Éclair
  • 2.2 Froyo
  • 2.3 Gingerbread
  • 3.0 Honeycomb
  • 4.0 Ice Cream Sandwich
  • 4.1 Jelly Bean
  • 4.4 KitKat

Quando la notizia della partnership fra Google e Nestlé è stata ufficializzata, il mio primo pensiero non è stato "che geniale mossa di marketing". E nemmeno "che pessima mossa per Google associare il proprio nome ad una multinazionale così discussa come Nestlé".

Il mio primo pensiero è stato: il Tempo Ante-Sponsorizzazione è finito.
Ovvero mi è tornato alla mente il visionario futuro prossimo descritto da David Foster Wallace nel suo corposo libro Infinite Jest (Lo scherzo infinto), nel quale le multinazionali, alla continua ricerca di spazi per imporre il proprio brand, ottenevano il diritto di sponsorizzare un intero anno solare.
Invece di pratici numeri, entravano così nella mente delle persone (e nella storia) l'Anno della Saponetta Dove in Formato Prova oppure l'Anno del Pannolone per Adulti Depend e perfino l'odiatissimo Anno dell'Upgrade per Motherboard-Per-Cartuccia-Visore-A-Risoluzione-Mimetica-Facile-Da-Installare Per Sistemi TP Infernatron/InterLace Per Casa, Ufficio, O Mobile Yushityu.
Il periodo prima di questa rivoluzione veniva indicato come Tempo Ante-Sponsorizzazione.
D'altronde il nome del tempo ha sempre rivestito un ruolo importante nelle "strategie di comunicazione" di imperi e regimi, non a caso i mesi dell'anno in Occidente ci ricordano ancora nomi di dei o imperatori romani. Perché il tempo è di tutti e misurarlo, "chiamarlo" è una necessità imprescindibile. E non a caso ci sono state "rivoluzioni" nei naming per affermare nuove ere, come nel caso del Calendario Rivoluzionario Francese.


Ecco perché la decisamente invasiva mossa di usare il naming di due prodotti molto diffusi per fare una gigantesca operazione di co-marketing mi è sembrato il campanello d'allarme definitivo: ormai nemmeno i nomi sono al sicuro. Il Tempo Ante-Sponsorizzazione è finito.
Il "nomina sunt consequentia rerum" di giustiniana memoria, diventa quindi un "nomina sunt serva rerum", stravolgendo il ruolo stesso dei nomi nella comunicazione fra le persone.

Non starò qui ad analizzare tutte le teorie di neuro-marketing che sottostanno alla partnership tra Google e Nestlé, né voglio schierarmi a favore o meno di tale scelta. Voglio solo evidenziare che è una mossa di portata epocale.
Il fatto che qui non si stia giocando con i nomi dei mesi o degli anni, ma su quelli di prodotti realizzati da aziende private, non diminuisce la portata storica dell'operazione. Nell'epoca del consumismo i prodotti diffusi a livello globale sono beni pubblici.
Se la Nutella decidesse di chiamarsi Crema di Silvio Berlusconi, dopo una OPA aggressiva di Fininvest verso Ferrero, come vi sentireste??
Smettereste di mangiare Nutella? Scrivereste a Giorgio Napolitano per concedere la grazia a Silvio?
Insomma, nessuno vuole trovarsi in una situazione del genere!

Lo so, starete pensando "Ma dai, è un'esagerazione! Il Berlusca non potrebbe cambiare il dome di Nutella in Crema di Silvio Berlusconi". Guardate che non è fantascienza o fanta-marketing, perché è già successo. Da circa vent'anni milioni di italiani non gridano più Forza Italia quando guardano le partite della nazionale...

Ma allora non c'è speranza, siamo condannati a vedere sulle carte di identità dei nostri figli che sono nati nell'Anno dell'iPhone 8s oppure in quello della Pasta Fresca Fresca & Buona Buona Giovanni Rana oppure (Dio non voglia!) nell'anno della Crema di Silvio Berlusconi??
Non credo.
Avete mai sentito un francese dire che torna dalle ferie dopo il Cardo del Fruttidoro? O che fa il compleanno di Brumaio, nel giorno del Tacchino? Io no. Evidentemente nemmeno la determinazione dei rivoluzionari francesi è riuscita ad imporre le proprie strategie di comunicazione. Col tempo, il buon senso trionfa sempre. O almeno spero.

Ma ora torniamo al tema centrale e al titolo del post.
Questo post doveva intitolarsi Google, Nestlé e la profezia di David Foster Wallace. Ma poi ho pensato che, per coerenza, il focus doveva essere sui prodotti, perché sono loro la chiave per comprendere l'importanza dei naming. Come ho scritto prima, in questa epoca storica i prodotti di largo consumo vanno considerati beni pubblici. E un bene pubblico non può essere trattato con leggerezza.
Nel corso della mia carriera professionale ho lavorato alla scelta di decine di naming di aziende, brand o prodotti, ed ho sempre avuto piena consapevolezza dell'importanza dei nomi che andavo a proporre.
Nella Bibbia "dare il nome" ha un significato ben preciso: significa avere facoltà di dominio sulle cose nominate. Ma a tale facoltà è associata una grande responsabilità. I genitori danno i nomi ai loro figli, ma li custodiscono e li crescono.
Se si abusa della facoltà di dare i nomi senza associarvi una buona dose di responsabilità, si commette un errore imperdonabile.

Per spiegare il concetto con un esempio, è come se, per fare eticamente un'operazione di co-naming come quella siglata dalle due multinazionali, Nestlé avesse dovuto prima assicurarsi che il codice sorgente del sistema operativo Android 4.4 fosse ben fatto e non nascondesse insidie (come porte aperte per la sottrazione di dati all'insaputa degli utenti) e Google avesse dovuto investigare sulle strategie di vendita di latte in polvere della Nestlé alle mamme non abbienti africane.

La domanda è: credete che Nestlé abbia assunto programmatori per l'analisi del codice di Android o Google abbia mandato medici in Africa prima di siglare l'accordo?




29 agosto 2013

Io c'ero - Lettere di un padre alla figlia

Titolo del libro

"Io c'ero - Lettere di un padre alla figlia"


Quarta di copertina

«Quando ti ho scattato questa foto io ero in bilico su un pontile traballante della riva sud-ovest del lago di Como. Tu volevi che nella foto venissero anche le papere e quella era l'unica posizione possibile che accontentasse anche tua madre, che voleva venissero nello sfondo le ville sui verdi pendii attorno al lago. Dopo lo scatto caddi nell'acqua e l'unico pensiero fu quello di salvare la macchina fotografica. La qual cosa, fortunatamente, mi riuscì. Tu avevi tre anni, ridevi di gusto nel vedermi tutto bagnato, ed io ero colmo di gioia per averti fatto ridere. E per aver tenuto il rullino lontano dall'acqua.»

Ogni lettera una foto, ogni foto una situazione, un luogo, un'atmosfera, un ritratto di famiglia in cui manca sempre il padre. Dal primo giorno di vita fino ai 18 anni, Marco Latuni ha scattato migliaia di foto alla figlia, senza mai essere incluso nelle stesse. Per questo decide di tenere una sorta di diario segreto in cui "si include" nello scatto, raccontando alla figlia, per ogni foto, tutto ciò che c'era "aldiqua" della macchina fotografica: lui, con i suoi pensieri, le sue emozioni, il suo ruolo nella gita di famiglia o nella festa di quartiere.
Scrive in un capitolo: «Forse sono l'unico padre al mondo cui mai nessuno ha proposto "Dai che questa la scatto io". E forse sono la persona che più di ogni altra l'avrebbe desiderato.»


Washington Post: «Un album di famiglia che è, in realtà, un'opera letteraria.»

El País: «Commovente, a tratti struggente. La vera storia di un padre, che racconta alla figlia ogni scatto in cui l'ha ritratta e nel quale, ovviamente, non è presente.»

Il Libraio: «Il caso letterario dell'anno, da un autore sconosciuto al grande pubblico. Più di 100.000 copie vendute in un solo mese.»

The Sun: «Nelle intenzioni di Marco Latuni le tante lettere associate alle tante foto avrebbero testimoniato alla figlia che, in ogni momento importate della sua vita, lui c'era. Voleva rilegarle e regalargliele al compimento dei 18 anni. Ma la figlia scappa di casa la notte del suo diciottesimo compleanno. E Latuni, per raggiungerla, non ha altra scelta che pubblicare le lettere. Umberto Eco ha scritto recentemente: "È un bene per la letteratura mondiale che quella ragazza sia scappata di casa"


Autore

Marco Latuni è al suo primo libro alla tenera età di 46 anni. Giardiniere di professione da vent'anni e fotografo della domenica da una vita, non ha mai scritto molto più che qualche fattura. Eppure "Io c'ero" è diventato un bestseller a pochi mesi dalla pubblicazione.
Il suo stile è semplice, lineare e insieme profondo e toccante. Parla al cuore di chi lo legge, e ai migliaia di padri che si immedesimano nelle emozioni che descrive.


20 agosto 2013

Il sole a Milano


«Il sole, ogni tanto, sorge anche a Milano.»

Da "Venere privata", di Giorgio Scerbanenco



11 agosto 2013

Perché preferisco la montagna al mare

In questi giorni di salsedine e sabbia, sono arrivato a maturare la ferma convinzione che preferisco la montagna al mare.
Ed il motivo è presto detto.

Il mare è sporco, la montagna è pulita; il mare è volgare, la montagna è elegante.
Non mi riferisco a concetti di sporco/pulito e volgarità/eleganza in senso stretto, ma metaforico, più legato ai frequentatori delle località turistiche che ai luoghi stessi.


Innanzitutto il turista marino sceglie la meta della propria villeggiatura con criteri che non condivido. Per i più la bellezza naturalistica non è importante, l'importante è che il luogo sia affollato, dotato di vita notturna e possibilmente conosciuto, per potersi vantare opportunamente, al rientro dalle ferie, della propria abbronzatura. Per qualche ragione misteriosa, un'abbronzatura fatta a Rimini è più apprezzata di una fatta a Castel Volturno.

L'umanità che incroci al mare è rumorosa, sporca, perfino volgare nei gesti che compie.
I corpi al sole sanno di vanità e sudore, di ozio e crema abbronzante. Il gesto più nobile che puoi veder compiere ad un corpo al sole è leggere, ma la percentuale di libri diversi dal thriller commerciale e dal romanzo rosa è prossima allo zero (si noti che dalla statistica ho escluso La Settimana Enigmistica e rotocalchi vari, perché renderebbero ridicolo qualsiasi tentativo di scorgere aneliti culturali nei villeggianti).
Per il resto del tempo il corpo al sole parla, beve, mangia, suda, fuma, rumoreggia, ascolta musica di dubbio gusto, e spesso fa tutto questo insieme.

Il bagnante è sempre sporco, per quanto si sforzi di rimanere pulito. Non è solo la sabbia il problema, ma la stessa acqua di mare. La salsedine sulla pelle lascia un senso di appiccicaticcio che rende fastidioso qualsiasi movimento e concede al villeggiante l'alibi per lasciarsi andare a movimenti sgraziati, ad atteggiamenti poco eleganti.

Si badi che non c'è alcun giudizio di valore (sono anche io "un corpo al sole" in questi giorni), ma solo una mera constatazione di come il luogo influenzi il comportamento animale.

La montagna, invece, è l'opposto.
Il turista che preferisce la montagna, già nello scegliere la località, si concede lunghi momenti di riflessione, perché non vuole solo un luogo, cerca un'atmosfera. Quell'atmosfera che gli consentirà di elevarsi, di riposarsi ma insieme temprarsi, nello spirito e nel corpo.

Il villeggiante montano è elegante, qualsiasi cosa faccia. 
Quando intraprende un impervio sentiero alpino ha gli occhi fissi alla meta, ma è capace di godersi il percorso. Suda anche lui, ma non puzza. Ha uno scopo quel suo sudare, è la nobile fatica dell'ascesa.

Quando l'escursionista si concede un bagno in un limpido ruscello alpino, ne esce ristorato e pulito. La fredda acqua gli tonifica i muscoli e gli dona nuovo vigore per proseguire nella salita.
Quando mangia, il turista montano, lo fa con eleganza, parsimonia. Introduce le calorie necessarie al corpo, non una di più, perché ha dovuto scegliere con cura i pesi da mettere nel suo zaino.

Esattamente l'opposto di quanto accade a mare.
Quando mangia il copro al sole introduce molte più calorie di quelle che ha bruciato stando in ammollo nell'acqua, e lo fa con foga, quasi avesse paura di non riuscire a finire tutte le lasagne e panini e pizzette e bombe alla crema e gelati stivati nel suo frigorifero portatile o comperati al bar del lido.
Il mangiare per il villeggiante marino è l'attività principale, che ha una fitta pianificazione oraria: colazione, spuntino di metà mattina, pranzo, merenda, aperitivo, cena, dopocena, spaghettata di mezzanotte.

Per il villeggiante montano, invece, mangiare è un'attività marginale. Deve tener presenti gli orari dell'alba e del tramonto, i tempi di salita e discesa da una cima, deve evitare acquazzoni e subitanei cambiamenti del tempo, per cui il magiare diventa l'unica attività che non occorre pianificare, ma che esegue nei ritagli di tempo, magari in una breve pausa davanti un paesaggio mozzafiato. E si ferma per il paesaggio, non per mangiare.
Sarà anche per questo che il turista montano magia lentamente, con gusto ma senza foga, con una certa eleganza nei gesti e con tanta profondità nello sguardo volto al cielo e alle cime.

Guardate, invece, il bagnante mangiare. Osservatelo davvero, con l'occhio critico del documentarista che sta filmando una specie animale per scorgerne i tratti distintivi, guardatelo come se doveste scrivere un trattato di etologia.
Scoprirete che ha uno sguardo selvaggio nell'addentare quel panino farcito di salsiccia e formaggio o quel tramezzino al tonno. Lo vedrete in crisi se non riesce ad aprire la bottiglia di birra con l'accendino ed imprecare se gli cade una fetta di anguria nella sabbia, pur avendone diversi chili a disposizione nella borsa termica.
A sera, nel ristorante dell'hotel o in una trattoria sul lungomare, conserva quella fame insaziabile, caratteristica solo di chi oziato per tutta la giornata. Beve vino bianco ghiacciato, per questo ne beve tanto e non ne apprezza il gusto, suda mentre mangia anche se c'è l'aria condizionata ed è sempre pronto a criticare il piatto se le porzioni non sono generose.
Il villeggiante marino continua a bere cocktail ghiacciati per tutta la sera e gran parte della notte, per risultare il più simpatico della compagnia ed evitare silenzi imbarazzanti, che rivelerebbero il vuoto assoluto che ha generato la giornata a mare.

Il turista montano, invece, è controllato e distinto in ogni gesto del suo desinare. Anche a pranzo mangia "una colazione" al sacco, non un panino superfarcito. E la sera conserva il senso per il cibo che ha sperimentato nelle escursioni della giornata. Ne apprezza il potere ristoratore, dosa i bocconi, mangia con eleganza e si gode la stanchezza dei muscoli insieme al calore di un calice di vino rosso.
Se beve dopo cena una grappa o un amaro, è per ritrovarsi con se stesso ancora più in profondità, non per dire spiritosaggini ai compagni di tavola.
Il turista montano non teme il silenzio, anzi lo cerca.

Il turista marino si sveglia tardi col mal di testa per le orgie di cibo e futile socialità mondana della notte prima, sconta in spiaggia tale stanchezza cronica e cerca nel sole e nel chiacchiericcio una forma di consolazione al vuoto che sente dentro.

Il turista montano si sveglia presto e l'alba lo coglie già in marcia sui sentieri più belli. È riposato e sereno e cerca nella fatica dell'ascesa e nella bellezza dei paesaggi quel barlume di infinito che sa di avere dentro.

In definitiva in montagna cerchi (e spesso trovi) te stesso. Al mare cerchi gli altri per fuggire da te stesso. Ne consegue un'umanità nobile e pulita nel primo caso, corrotta e sgraziata nel secondo.

Sarà per questa distanza abissale tra mare e montagna che preferisco la seconda. Eppure, da tre anni, passo più giorni a mare che in montagna. Non per mia scelta, beninteso, è che dicono faccia bene ai bambini. E con due piccole da crescere, per giunta sempre col raffreddore, mi sento in dovere di essere anche io "un corpo al sole".
Ma, da esperto di marketing, nutro il sospetto che la storia dello iodio sia solo una bugia del mercato, per affollare le spiagge e tenere silenti e protette le cime delle montagne.


1 agosto 2013

Perché non esiste il bottone "Non mi piace" su Facebook. E perché Zuckerberg sbaglia a non volerlo mettere.


Quella che segue è la traduzione italiana di un post che avevo scritto 4 mesi fa per il blog di Cubeyou (perennemente in cantiere). Visto che è un tema che sta tornando alla ribalta (perché pare che Zuckerberg si stia ricredendo), ho pensato di pubblicare il post; così, quando in Facebook troverete il pulsante Dislike, saprete il perché. 

La storia del pulsante “Non mi piace” su Facebook è lunga e piena di false notizie, campagne virali, spam e strategie di marketing di dubbio valore.
Partiamo dal fatto che il pulsante, ad oggi, non esiste e che in nessun momento della storia di Facebook sia mai apparso un restyling che lo prevedesse, nemmeno per una fase di test.
Tuttavia è certo che se ne sia parlato nei quartieri generali di Facebook, perché è una richiesta che milioni di utenti hanno avanzato al Social Network di Mark Zuckerberg. Non si contano infatti le pagine, i gruppi, le comunità e i profili creati allo scopo, proprio sul social network più utilizzato di sempre. Ecco qualche esempio di nomi eloquenti:

  • Dislike
  • Dislike Button
  • We need a "dislike" button on Facebook 
  • Hello Mr.Zuckerberg, we need a "Dislike"…
  • We Want a Dislike Option
  • We Want A Dislike Button

Si tratta forse della modifica alla piattaforma più richiesta in assoluto, quella che ha trovato maggior consenso e maggiore diffusione su siti web, blog e forum di discussione.
Ma allora perché il buon Mark non l’ha mai ascoltata?


In fondo ci sono esempi di canali dove questa valutazione negativa esiste da molto tempo e non ha mai generato problemi. Si veda YouTube, dove il pulsante “Non mi piace” è parte integrante dell’algoritmo che genera contenuti pertinenti e rilevanti rispetto alle ricerche per parole chiave fatte dagli utenti, sia dentro che fuori dalla piattaforma di broadcasting.

Eppure Mark Faccia D’Angelo sembra convinto che gli utenti di Facebook non saprebbero gestire un pulsante di “disapprovazione”, col rischio di generare negatività su negatività all'interno della sua creatura.
Potendo distribuire solo I-Like, invece, gli utenti Facebook sono in qualche modo costretti ad adottare sulla piattaforma un atteggiamento buonista, nel quale prevale di gran lunga l’atteggiamento “pro” rispetto a quello “contro”.
E questa tipologia di interazione è quella che i brand, le aziende e i grandi gruppi che investono in advertising su Facebook preferiscono, poiché sarebbe spiacevole trovarsi una valanga di disapprovazione verso un proprio prodotto/servizio/iniziativa.


Ma Facebook in questo sbaglia, almeno per quattro motivi. Vediamoli.
  1. Per prima cosa bisogna tener presente che l’uomo “è programmato” per funzionare con modalità binaria: Positivo/negativo, Felice/Triste, Riposato/Stanco, A Favore/Contrario, Piace/Non piace. Con mille sfumature fra i due opposti, ma pur sempre con entrambe le “modalità” sempre presenti nella propria vita (e addirittura coesistenti nell'arco stesso di una giornata).
    Per questa ragione antropologica gli utenti aggirano sistematicamente le limitazioni del Social Network e trovano mille vie per manifestare il proprio dissenso, spesso peggiori del sintetico “I Dislike”. 
    Ecco quindi che, anche se non è possibile fare un “Non mi piace” alla pagina di Berlusconi, tanto per fare un esempio, nascono centinaia di pagine che hanno come solo scopo la manifestazione del dissenso e della disapprovazione verso questo personaggio pubblico italiano.
    Ed anche se spesso queste pagine hanno un numero di fan generalmente inferiore a quello del brand o del personaggio di cui parlano male (dai 10 ai 100.000 Mi piace), la somma dei diversi fan sulle diverse pagine supera di gran lunga il totale degli I-Like che può avere la pagina ufficiale del personaggio pubblico. Un sorta di teoria della Coda Lunga, applicata al Social Media Marketing. (NdR: chiedete ad un SEO specialist la spiegazione del concetto di Long Tail)
  2. Veniamo quindi al secondo motivo, direttamente collegato al primo, per cui Facebook sbaglia a non permettere il “Dislike”.
    Questi focolai di discussione per parlare male di qualcosa o qualcuno sono l’incubo di ogni Social Media Manager, perché è praticamente impossibile riuscire ad avere una visione d’insieme di cosa la gente pensa del brand di cui si sta gestendo la comunicazione online.
    E quindi la piattaforma è comunque vista da chi si occupa di Social Media Marketing come un luogo problematico, dove non è possibile seguire le conversazioni più negative sul brand, proprio perché avvengono su pagine o gruppi o comunità non gestiti dal brand stesso.
  3. Il terzo aspetto è la diretta conseguenza degli altri due: se il brand non può ascoltare il dissenso, se non può instaurare conversazioni con gli utenti, muore il marketing 2.0, crolla ogni possibilità di miglioramento del prodotto/servizio offerto sulla base gli input degli utenti.
    E ci perdono tutti, brand e utenti. Il primo perde l’opportunità di migliorare e continuare a vendere o vendere di più, i secondi non vedranno mai realizzate le loro richieste.
  4. C’è una quarta motivazione per cui Mark Zuckerberg dovrebbe introdurre il pulsante “I Dislike”, ed una ragione che i Marketing Manager stanno sempre più prendendo in considerazione. I dati di Facebook sono estremamente “sporchi”. Non solo non è possibile calcolare con precisione il dissenso attorno ad un brand/servizio/personaggio, ma è anche impossibile stimarne il reale apprezzamento.
    Ci sono studi nei quali si scredita il valore dell’I-Like, dimostrando che una grande percentuale di utenti ha un atteggiamento superficiale nell'attribuzione di questo tipo di social reference (si legga, ad esempio, “L’I-Like Facile in Facebook”).
    L’unico sistema statisticamente accettabile per depurare questa percentuale sarebbe l’utilizzo dei “Non mi piace” come fattore correttivo, per arrivare ad ottenere un Valore di Apprezzamento Netto (“N° Mi piace” – “N° Non mi piace”= VAN). Supponendo infatti che gli utenti che attribuiscono superficialmente gli I-Like siano simili come cluster a quelli che attribuiranno i Dislike, si arriverà ad ottenere un dato significato ed utilizzabile per gli scopi di social analytics, grazie all’annullamento del rumore di fondo dato da questi cluster socio-comportamentali fuori controllo.

Quindi, Mark, ascolta la voce del “tuo” popolo: fagli dire quello che vuole!
... Te ne saranno grati non solo gli utenti di Facebook, ma anche tutti i Social Data Analysts, i Social Media Specialists e, soprattutto, i Marketing Manager che amano i “dati puliti” e significativi.


30 luglio 2013

GOLF


«GOLF: gioco in cui rivendichi i privilegi dell'età e mantieni i giocattoli dell'infanzia.»

Samuel Johnson


16 luglio 2013

Conversation Prism, o anche Social Media Map.

Conversation Prism... ovvero, come "provare" a categorizzare Social Network e piattaforme di servizi web, attraverso la loro funzione d'uso e le caratteristiche peculiari di "relazione" con l'utente: YOU!

In tutta onestà, non credo sia possibile realizzare una vera mappa del panorama Social Media, perché, quali che siano le coordinate degli assi, nessun media sarebbe solo in un punto, ma simultaneamente in molti altri. Basta guardare come, con il passare del tempo, tutti i Social Network si siamo un po' "copiati a vicenda", arrivando ad implementare funzioni simili.
Tanto per ricordare qualche caso noto:
  • Google ha copiato Facebook per la struttura portante del suo Google Plus
  • Facebook ha copiato l'idea delle cerchie di Google Plus utilizzando le liste
  • Google ha copiato Twitter inserendo gli hashtag per le ricerche di contenuti
  • Twitter ha copiato Facebook e Instagram, consentendo la condivisione di immagini e video
  • Facebook ha copiato Twitter e Google Plus introducendo gli hashtag
  • ... e tutti hanno copiato Foursquare aggiungendo il luogo alle opzioni di condivisione contenuti!

Comunque, fra tutte le Social Media Map che ho visto, The Conversation Prism è tra le più interessanti.


15 luglio 2013

Il simbolo infernale del codice segreto dell'angelo di Caravaggio

Titolo del libro

"Il simbolo infernale del codice segreto dell'angelo di Caravaggio"

Dipinto di Caravaggio: San Matteo e l'angelo

Quarta di copertina

[Dall'introduzione di Umberto Eco all'edizione italiana] «Visto che parlavo sempre male di Dandy Browny, mi hanno chiesto di scrivere una prefazione al suo nuovo romanzo. Pensavano così di mettermi a tacere. E ci sono riusciti.»


New York Times: «Dandy Brownie ha superato se stesso: decisamente il titolo più criptico fra tutti i suoi thriller.»

Washington Post: «Una trama avvincente, un ritmo incalzante, un finale imprevedibile. Non riuscirete a trovare il tempo nemmeno per andare a bagno. O, se già ci siete, vi rimarrete inchiodati fino all'ultima pagina.»

L'Unità: «Chi si aspetta il solito romanzo alla Brownie ambientato in Europa, dove un professore americano esperto di simbologia salva il mondo scoprendo messaggi in codice dove per secoli professori di storia dell'arte hanno visto solo dipinti, si sbaglia. Questa volta il romanzo è ambientato in Africa.»

La Padania: «Bellissimo libro, ma Brownie poteva risparmiarsi tutti quei personaggi troppo abbronzati e dal grottesco aspetto di oranghi.»


Autore

Dandy Brownie è sicuramente uno dei più noti autori di romanzi thriller al mondo. Pare non sia mai uscito oltre i confini della sua città natale nel New Hampshire, eppure descrive nei suoi libri alla perfezione città e opere d'arte di tutto il mondo. Aiutato da internet e da qualche guida Lonely Planet, si dice.
Per la MondaTevi ha già pubblicato "Il segreto dell'Ordine Segreto Della Croce di Malta", "Il templare che rifiutò di bere dal Santo Graal" e "I misteri del Vaticano perduto".  Con il suo ultimo libro Brownie conclude la serie di thriller che vedono come protagonista Robby Lingord, brillante esperto di simbologia religiosa e amante del mistero più misterioso che si nasconde dietro le opere d'arte.


6 luglio 2013

Il nocciolo del Data Mining




«Prima di interrogare i database, dobbiamo ritrovare il piacere di porre le domande giuste a monte di qualsiasi progetto.»


(dal saggio Numeri e parole di Paolo Iabichino)

11 giugno 2013

Il cassetto delle poesie

C'erano poesie che leggevamo di nascosto nei banchi di scuola,
fra una lezione noiosa ed una troppo importante per essere ignorata;
c'erano poesie che imparavamo per l'occasione buona,
per fare colpo su quella ragazza che non avrebbe resistito ad un "cet amour".
C'erano poesie solo nostre,
altre di altri che facemmo nostre;
c'era poesie come canzoni
e canzoni come poesie.

C'erano poesie che ci hanno insegnato a parlare,
altre che ci hanno insegnato ad ascoltare.

C'erano poesie che avremmo voluto scrivere noi,
altre che scrivemmo copiando stili e parole di altri;
c'erano poesie che abbiamo scritto all'alba per suggellare momenti epici
ed altre che raccontano che ogni momento è epico
se lo si vive con poesia.

Ci sono poesie scritte ed altre non scritte,
tutte ugualmente chiuse nello stesso cassetto.



(dedicata ai miei amici poeti, specialmente quelli che hanno aperto il cassetto)

22 maggio 2013

Quello che ho imparato oggi da mia figlia


Nel giorno del suo terzo compleanno, Marica mi ha dato l'ennesimo insegnamento:
bastano 4 palloncini colorati per essere felici.


7 maggio 2013

Il mio ricordo di Giulio Andreotti

Non potevo esimermi dallo scrivere due righe sulla figura di Giulio Andreotti, visto che è stata una delle figura più influenti sulla mia formazione politica (nel senso che mi ha fatto desiderare di essere qualsiasi cosa fuorché democristiano!).
Lo faccio, semplicemente, citando (e non rinnegando) due post del passato:

  • Auguri Belzebù
  • - [...] Caro Giulio, Giulio Andreotti, scrivo queste cose ora, ora che sei ancora vivo, perché (ammesso che io ti sopravviva) se le scrivessi alla tua morte, sarebbero le codarde parole di un blasfemo che se la prende con un martire. 
    E finché non sei né santo, né beato, le mie possono ancora apparire come le riflessioni ragionevoli di un disamorato della politica. -


  • Breve storia economia d'Italia
  • - [...] Qual è, dunque, la morale di questa breve storia economica d'Italia? È che ci sono dei colpevoli. 
    Non è che il peso sulle spalle nostre e dei nostri figli è un fatto ineluttabile, che dobbiamo accettare come una sventura caduta dal cielo. C'è stato un momento, anzi, tanti momenti, in cui qualcuno poteva scegliere, e non l'ha fatto. O l'ha fatto male.
    Ci sono dei colpevoli che hanno un nome e cognome, Benito Mussolini, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi. E ci sono gruppi  o "categorie" di colpevoli, come i sindacati, la Chiesa Cattolica, le Brigate Rosse.

    Ma c'è un colpevole per eccellenza nella nostra storia economica. E quel colpevole è il Vecchio che dice di "no" al Giovane. -

2 maggio 2013

Ricordando Goethe


«Ho avuto solo cattivi maestri...
è stata un'ottima scuola!
» 

29 aprile 2013

I Hate - La felicità "commerciale" degli speaker radiofonici il lunedì mattina



IO ODIO...
La felicità "commerciale" degli speaker radiofonici, che sei costretto ad ascoltare nel tragitto in macchina casa-lavoro, nonostante sia lunedì mattina e fuori ci sia una pioggia da stagione monsonica in India orientale.

21 aprile 2013

Lean Startup Machine 2013 in London (ovvero, "Come tutto torna")

Mi trovo in questi giorni a Londra, con alcuni colleghi di Cubeyou, per un workshop sul metodo Lean Startup; ovvero, come validare (o invalidare) facilmente e velocemente una nuova idea di business.

Il corso è molto interessante ed è completamente basato sull'applicazione diretta delle tecniche di validazione delle assunzioni sottese all'idea di business.
Il motto del metodo è: Fail Fast. Succeed Faster.

Ero venuto a Londra con l'idea di validare l'idea di creare una Borsa Rifiuti (Waste Exchange), ma poi mi sono ritrovato a lavorare su un altro progetto che è comunque sempre strato tra le mie priorità: una piattaforma per realizzare una democrazia partecipata.

Il punto è che non pensavo potessi mai avere un "engagement" così intenso come quello che sto vivendo a causa delle vicende d'Oltremanica (viste della parte opposta, ovviamente).
Proprio in questi giorni si sta ancora consumando il più basso esempio di distanza della classe politica italiana dalla volontà popolare. Le elezioni del Presidente della Repubblica Italiana sono la prova che i partiti non hanno minimamente considerazioni delle manifestazioni di dissenso espresse dai cittadini.

Ed ecco che veniamo al workshop.
In queste ore stiamo validando l'idea di una piattaforma che consenta feedback diretti ai governi durante il processo legislativo. Se qualche lettore volesse partecipare, può registrarsi a questo link (ancora per poche ore): http://bit.ly/public-democracy.
Ok, ce ne sono tanti di siti web che provano a creare spazi di discussione politica, ma questo è solo un esempio per approfondire il processo di validazione. Il punto è che queste piattaforme rimangono inascoltate. E che l'intera classe politica italiana (e anche molti elettori) non conosce lo slogan di Lean Startup Machine:

FAIL FAST. SUCCEED FASTER!

Bisogna sbagliare e ammettere il fallimento velocemente, se si vuole avere successo più velocemente. Questa è il nocciolo di quello che sto imparando qui, ed è quello che la dirigenza del Partito Democratico avrebbe dovuto sapere per non incorrere in continui fallimenti dovuti alla "persistenza nell'errore".

Gli elettori "affezionati" hanno sbagliato a votare Bersani, Bersani ha sbagliato a non dimettersi dopo il risultato delle elezioni, ha sbagliato nel fare di tutto per ottenere un incarico di governo, ha sbagliato a non cogliere al volo la proposta del Movimento 5 Stelle e votare Rodotà alla Presidenza della Repubblica, ha sbagliato a bruciare il povero Prodi per l'ennesima volta ed infine il PD ha sbagliato a riproporre Napolitano, pur di non darla vinta al M5S.
Se solo ci fossimo fermati al primo fallimento, quanti disastri si potevano evitare!

La classe politica italiana avrebbe bisogno di un workshop qui...




18 aprile 2013

Bersani, falla finita con i giochetti da democristiano e vota Rodotà!

Ieri ero così arrabbiato per la posizione del Partito Democratico in merito all'elezione del Presidente della Repubblica Italiana, che ho riversato sul Web tutto il mio disappunto. 
Per chiedere una marcia indietro a Bersani ho creato una pagina Facebook (Bersani, falla finita con i giochetti da democristiano e vota Rodotà) e una petizione online (Chiediamo al PD di votare Stefano Rodotà come Presidente della Repubblica Italiana).

Scarso è stato il conforto nel vedere sui Social Network migliaia di interventi dello stesso tipo, per lo più proprio da parte dei delusi del PD, elettori ed ex-elettori che non capiscono come si possa preferire Franco Marini a Stefano Rodotà.
Il constatare di essere oggettivamente una "maggioranza", ha fatto ancora di più accrescere in me lo sdegno per la gestione miope, egoista e personalistica che Bersani sta facendo del Partito nel quale ho militato per anni.

Ma poi oggi lo sdegno si è trasformato in sgomento.
Abbiamo assistito ad una vergognosa esibizione, da parte di alcuni parlamentari, di spregio delle istituzioni e mancanza di rispetto verso tutto il popolo italiano.
Mentre l'economia è in ginocchio e il Paese, senza governo da mesi, versa in mille difficoltà, ci sono stati dei pagliacci che si sono permessi di votare nomi assurdi per la Presidenza della Repubblica come Varia Marini, Veronica Lario e Raffaello Mascetti (personaggio del film "Amici miei").

A questo punto le cose sono due: fare gli struzzi o fare la Rivoluzione.
E non è fuori luogo ricordare quello che diceva, a ragione, Karl Marx: la Rivoluzione è un processo violento.


16 aprile 2013

Il Timing nell'Advertising

Ci sono pubblicità praticamente "senza tempo", attuali in ogni paese ed epoca storica. Ed altre (la maggior parte, per la verità), che possono essere capite solo in determinato periodo storico, da una certa cultura, da un certo popolo.

Questa della compagnia di Ryanair, gioca in maniera efficace con il sentimento, ormai dilagante, di disgusto e rabbia verso la classe politica italiana.
Peccato che, in Italia, questa pubblicità sia attuale da più di vent'anni.

15 aprile 2013

Salone & Fuorisalone

Ieri ho avuto modo, per la prima volta, di visitare il Salone del Mobile di Milano. E l'altro ieri, per la primissima volta, di vagare nelle vie del del centro (con famiglia al seguito), per gli eventi del Fuorisalone.

La differenza fra "prima" e "primissima" volta sta nel fatto che, nel secondo caso, mi sentivo maggiormente un pesce fuor d'acqua....
Milano è decisamente troppo "viveur" rispetto a Trento, o Cambridge, o Pisa!

Ma ho come l'impressione che mi abituerò. E non sarà per nulla un sacrificio.

12 aprile 2013

To hell with privacy!

I don't lose time any more searching for something, nor offline or online.

When I wake up in the morning I open Facebook and I see which friend I'm gonna meet during lunch time.
When I arrive in my office, I use to check which news there are in the thematic groups I follow on LinkedIn. Usually they arrive directly on my laptop, even during business meeting, so I'm always the more "updated specialist" in the team.
Before lunch time I receive an e-mail from Groupon with the best offers for restaurants within 5 minutes walking from my office, and thanks to Foursquare and Banjo me and my friend meet exactly in the same place at the same time.
Before to come back in the office, I receive a bonus offer on my smartphone: 2 free cinema tickets offered from a brand that I follow on Twitter. Just in time to invite my friend to have an aperitif in the evening and then go together at the cinema.
The afternoon in the office passes in a great way, thanks to some successful ideas that I have, inspired by really pertinent Pinterest and SlideShares updates showed in my browser.
Google Now tells me that the metro is going to close for a strike, so I leave the office few minute before usually, just to catch the last train and be in time for the aperitif.
During the aperitif IMDb App suggests me which movie to see in the multiplex cinema where we're going. The movie is great and I go back at home happy and relaxed, thanking IMDb and Google and SlideShare and Pinterest and Twitter and Banjo and Foursquare and Groupon and LinkedIn and Facebook. Because they know me and do the best to make my day perfect.

That's my point of view about privacy!


27 marzo 2013

Conversation is...


«Conversation is a meeting of minds with different memories and habits. When minds meet, they don't just exchange facts: they transform them, reshape them, draw different implications from them, and engage in new trains of thought. Conversation doesn't just reshuffle the cards: it creates new cards.»

 Theodore Zeldin

26 marzo 2013

La pubblicità che preferisco

Ci sono pubblicità fatte così bene che ti fanno scordare il motivo per cui sono state create.
Diventi accondiscendente verso tutti quei Data Analysts e Marketing Strategists che aiutano i copywriter a creare il messaggio giusto.
E pensi che, in fondo, cosa importa se il brand di turno che ha commissionato quella fantastica campagna voleva solo guadagnare di più... Se una pubblicità può ispirare le persone ad essere migliori, a pensare e vivere con positività, ben venga l' Advertising Age!



17 marzo 2013

I Love - Chi sa cadere...



IO AMO...
Chi sa cadere col sorriso, rialzarsi col sorriso... e non dare la colpa a nessuno per la caduta.

10 marzo 2013

Love & Hate

Il trasferimento in territorio lumbard è occasione "gradita" per inaugurare una nuova categoria di post, denominata "Love and Hate".
Questi post raccoglieranno sintetiche esternazioni di disappunto (Hate) o apprezzamento (Love), per fatti che a volerli raccontare bene richiederebbero ore. La forza degli incipit "Io amo" e "Io odio" consente infatti di sintetizzare un coacervo di emozioni difficilmente esternabili in altro modo.

Inauguriamo la nuova categoria con un tema ispirato alla recenti vicende legate al trasloco e ai lavori fatti per sistemare la nuova casa. Ovviamente non potevamo che iniziare con un "Io odio"...



IO ODIO...
Chi dice: «Per questo lavoro sono 700 euro, ma se vuole la fattura sono 1200, perché oltre all'IVA io poi ci devo pagare le tasse.»

1 marzo 2013

CubeYou, le elezioni e come Marica guarda il mondo

Oggi è stato il mio ennesimo primo giorno di lavoro. Emozionante e stancante, come ogni "primo giorno di scuola".

La società si chiama CubeYou, ha sede a Milano e San Francisco, e si occupa dello sviluppo di una piattaforma di analytics per le App di Facebook.
Io farò quello che ormai da 11 anni faccio sia per passione che per professione: userò tutti i canali del Web per far conoscere la piattaforma e far sì che diventi per i Social Network quello che Google Analytics è per i siti web.

Mettersi in gioco a trent'anni, lasciare quello che si era costruito dai 26 anni, trovare nuovi stimoli per crescere professionalmente, scommettere ancora sul domani nonostante la fiducia nel sistema-Paese sia ai minimi storici... non è facile.
Ma quando mi sveglio la mattina è vedo la faccia solare di mia figlia, che guarda al giorno che l'aspetta con quel faccino furbetto, curioso e soddisfatto, mi dico che non posso deluderla. E devo guardare al mondo con almeno un decimo della sua fiducia, curiosità e voglia di fare.

Vado quindi avanti; pensando che se un quarto dell'Italia ha di nuovo votato Berlusconi, un quarto Grillo e un quarto di desesperados Bersani, non è colpa di Marica. Lei ha meno di tre anni e ancora non vota.

18 febbraio 2013

Addio Trento

Dopo 6 anni e un mese, anche la "tappa trentina" del Giro del Mondo (Whole World Trip) si conclude.
I ricordi dei giorni trascorsi rincorrono i pensieri di quelli futuri e con essi si confondono, significando che, in fondo, conta solo il viaggio.
Non la meta, né le tappe intermedie, ma il viaggio.
E i compagni di viaggio. A Trento ne ho incontrati di speciali, che rimarranno sempre con me, quali che siano le destinazioni future.


Mi sovvengono i versi che scrissi quando lasciai Pisa, profondamente sentiti, allora come ora:


Si lascia quasi sempre quello che si ama.
Perché si scopre di odiarlo, man mano che passa il tempo.
Ma, al momento del distacco, un dubbio si affaccia;
il sapore di ciò che è stato ci assale.

E noi,
storditi,
esitiamo sull'uscio.


15 febbraio 2013

GESTA cloud consulting

Mi è sempre piaciuto immaginare la consulenza aziendale come qualcosa che non si esaurisse in una prestazione ad ore, ma somigliasse più all'amico esperto, di questo o di quello, cui ci rivolgiamo per chiedere un consiglio.

Alzi la mano chi non ha mai telefonato all'amico, partente o conoscente esperto di tasse, macchine, cucina o medicina, per chiedere aiuto nel districarsi con un'esigenza sopraggiunta. Se qualcuno ha alzato la mano, forse è perché non ha amici.
Che si tratti della ricetta per una cena veloce per gli ospiti inattesi o di come far passare un brutto mal di gola, tutti abbiamo bisogno di "consulenze" continue nel nostro quotidiano.
Così le aziende.

Ecco perché ho deciso di creare GESTA, un'impresa individuale che aspira ad essere capofila di un network di professionisti cui le aziende possono rivolgersi per ogni loro esigenza legata all'Information and Communication Technology; con un occhio di riguardo soprattutto al Marketing e al Web, settori chiave della mia formazione professionale.

GESTA aspira quindi a fare "cloud consulting"; che non è solo un termine di moda. È una filosofia, un modo nuovo di concepire il lavoro di consulenza: seguire e adattarsi ad ogni necessità dei clienti, per essere sempre pronti a fornire soluzioni personalizzate ed efficaci.

GESTA cloud consulting

24 gennaio 2013

L'uomo che si asteneva

Titolo del libro

"L'uomo che si asteneva"


Quarta di copertina

Il romanzo si apre con una scena piatta, senza alcun pathos, quasi a preannunciare un ritmo inesorabilmente lento: nel parlamento regionale della Bassa Sassonia, Ulrich Anders, neo-eletto fra le fila della CDU, assiste tra lo svogliato ed il sopito al susseguirsi di importanti dibattiti e relative votazioni, astenendosi puntualmente.
Anche in altri momenti di vita, nei quali una qualche scelta sarebbe auspicabile, lì dove non obbligatoria, il protagonista evita puntualmente di prendere una decisione e, semplicemente, si astiene. Fino al tragico epilogo che chiude il romanzo, nel quale Ulrich, fermo in un crocevia perché indeciso se voltare a destra o a sinistra, viene investito da un TIR in transito e muore.
«Non so. E comunque non ora, forse domani» è la frase che Vico Ciattima mette spesso in bocca a questo anti-eroe dei nostri giorni, del quale tuttavia non dà mai un giudizio netto; si limita a descriverne scene di vita quotidiana, di quotidiano "astensionismo", evidenziando così tutti i paradossi e le miserie di una vita passata a procrastinare, senza prendere mai posizione.


Der Spiegel: «Il ritratto impietoso di una politica degenere, lo specchio dell'Italia che Ciattima evita per pudore di chiamare palesemente in causa.»

Washington Post: «Un libro dalla trama inesistente e dal ritmo lentissimo. Ma proprio per questo un capolavoro di metafore e riflessioni indotte, solo suggerite dagli episodi narrati, mai gridate.»

L'Osservatore Romano: «Quello che i critici di mezzo mondo hanno interpretato come un J'Accuse di Ciattima alle responsabilità della classe politica, è in realtà una profonda riflessione filosofica sull'insostenibile onere della scelta per l'uomo secolarizzato, senza più riferimenti religiosi.»

La Frusta Letteraria: «Chiaro ed inequivocabile il riferimento a L'uomo senza qualità di Robert Musil.»

La Nazione: «Sublime la scena di Ulrich Anders sull'autobus, che impiega sette fermate per decidere se alzarsi e far sedere un'anziana signora; la quale nel frattempo scende e lo leva dall'impiccio di prendere una decisione.»

L'Adige: «Dellai assicura: "Queste cose capitano solo in Germania".»


Autore

Vico Ciattima è un parlamentare italiano del Partito Democratico, che ha militato in gioventù nel PCI prima e nei DS poi. Ha scritto diversi saggi di inchiesta sull'assenteismo degli eletti in Camera e Senato, pubblicando nel 2012 anche una classifica dei parlamentari meno attivi delle ultime 3 legislature ("Se questo è un politico" per Editori Laterza).
"L'uomo che si asteneva" è il suo primo romanzo, tradotto in 8 lingue e accolto con favore dalla critica di tutto il mondo.

23 gennaio 2013

Braciola di maiale con erbe aromatiche, formaggio e filetto di acciuga

Titolo del libro

"Braciola di maiale con erbe aromatiche, formaggio e filetto di acciuga"


Quarta di copertina

[Dall'introduzione di Antonella Clerici all'edizione italiana] «Chi vuole avvicinarsi al nuovo libro di cucina di Lardon deve dotarsi di tanta fame e pochi pregiudizi. Gli abbinamenti che lo chef americano propone sono a dir poco arditi e le foto dei suoi piatti posso generare non poca diffidenza iniziale. Ma quando il lettore più intraprendente proverà a seguire le sue istruzioni e a cucinare una delle 50 eccezionali ricette del libro, rimarrà stupito di quanti sapori si possano sprigionare dal mix sapiente di pochi ingredienti. Unica regola: violare tutte le regole della cucina tradizionale!»


New York Times: «Da leccarsi le dita. Anche solo per girare le pagine.»

Cook's Illustrated: «Il trionfo del gusto sulla forma; il nuovo libro di Jerry Lardon convince perfino Gordon Ramsay.»

Il Manifesto: «Non un libro di cucina come tanti, ma pura innovazione nell'arte culinaria; in una parola: rivoluzionario!»

Trentino-Corriere delle Alpi: «Uno chef che scrive come mangia: benissimo.»


Autore

Jerry Lardon è uno degli chef più eclettici del panorama gastronomico mondiale. Esponente di spicco della FoodArt negli anni '90, ha successivamente dedicato la propria vita professionale alla ricerca degli abbinamenti culinari più improbabili.
Per la Marks & Spencer ha già pubblicato "Tutti pazzi per la meringa", "Le ricette del Monte Sion" e "Dieta è una brutta parola".  Con "Braciola di maiale con erbe aromatiche, formaggio e filetto di acciuga" si è definitivamente affermato come il più autorevole fra gli innovatori dell'arte dei fornelli.


22 gennaio 2013

Il Matto di Trento

Titolo del libro

"Il Matto di Trento"


Quarta di copertina

«[...] Puoi vederlo ogni mattina, alle 8.00 in punto, nella periferia nord di Trento, che cammina all'indietro, con il suo incedere lento e meditato. Puoi vederlo col sole, il vento, la pioggia, la grandine, la neve. Puoi vederlo d'estate e d'inverno, sempre alla stessa ora, che pratica il suo personale rituale: la camminata all'indietro.»
Cosa nasconde quell'uomo di origine cinese? Quale assurda vicenda si nasconde dietro quel personaggio misterioso che gli abitanti della zona chiamano il Matto di Trento?
Una storia storia umana affascinante, un thriller avvincente, dove bugie, pregiudizi e verità sono inestricabilmente connesse.


New York Times: «Strepitoso, il libro-evento di un maestro della narrazione, che avrà molto da dire sui thriller psicologici del terzo millennio.»

The Indipendent: «Nessuna trama ha mai appassionato tanto, nessun personaggio ha mai commosso tanto.»

Il Manifesto: «Illuminante l'ultimo libro di Tramulnacoi: fa compiere al protagonista un gesto rivoluzionario: cammina all'indietro mente il mondo persiste nell'andare avanti.»

L'Adige: «La vicina di casa giura: "Stava solo facendo ginnastica!"»


Autore

Tramulnacoi è lo pseudonimo di un personaggio non meglio precisato che scrive libri da una ventina di anni su Zen, haiku e filosofie orientali. "Il Matto di Trento" è il suo primo thriller, ispirato ad una storia vera. L'unico suo libro che abbia venduto più di 100 copie.


21 gennaio 2013

Haiku




sera:
tra i fiori si spengono
rintocchi di campana


(Haiku di Matsuo Bashō, 1664-1694)