[Segue da Cap. 21]
In questo capitolo vorrei introdurre un concetto di Macroeconomia della Fine del Mondo. E per farlo, devo fornire qualche informazione di base di Storia Economica.
Nel 1776 Adam Smith pubblicò un libro fondamentale per l'affermarsi dell'Economia come scienza, che è stato in qualche modo il fondamento del pensiero liberista per secoli: La Ricchezza delle Nazioni (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations).
In questa indagine Smith cercò di capire quale fosse la fonte ultima del benessere crescente delle nazioni, che in quell'epoca si trovava ad osservare.
Arrivò alla conclusione che il nocciolo del progresso era nella divisione del lavoro.
Un'industria che si concentri nella realizzazione del prodotto che sa fare meglio e acquisti da altre industrie prodotti che le servano per realizzare quel bene, riuscirà a specializzarsi e a raggiungere alti livelli di produttività, con conseguente abbassamento dei costi di produzione.
Ugualmente le nazioni. Ad esempio, un paese piovoso e freddo come l'Inghilterra, non poteva certo intestardirsi nel tentare di produrre vino; aveva molto più senso importarlo da Francia, Spagna e Portogallo, esportando verso queste nazioni i propri filati.
Se una nazione, quindi, si specializzava nella produzione di un paniere di beni che era brava a realizzare, poteva esportare quei beni a prezzi competitivi e acquistare dalle altre nazioni i beni che non era in grado di produrre in maniera efficiente. Con beneficio e produzione di ricchezza anche per le altre nazioni.
Ma...
Al tempo della Fine del Mondo, non ci saranno mercati aperti, e ogni nazione o piccola comunità, cercherà di bastare a se stessa (vedi Cap. 5 e Cap. 7). Senza la specializzazione del lavoro (quella che per Adam Smith era la vera fonte della ricchezza), quindi, si innescherà una spirale di inefficienza produttiva, che genererà impoverimento diffuso.
[Continua ...]