Blog "di viaggio" di Luca Martino, dove Filosofia, Politica, Economia, Marketing, Web e SEO sono di strada.
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12 dicembre 2011
7 dicembre 2011
Quando salta il patto generazionale
Ma perché, quando è palese che ci si è sbagliati per decenni, quando è chiaro che le nuove generazioni non possono fare sacrifici enormi per pagare privilegi acquisiti da chi ha scaricato sul futuro ogni onere di sostenibilità economica degli stessi, quando si rischia il tracollo del Paese,... perché non si decide di riformare drasticamente il sistema pensionistico italiano?? Iniziando, ad esempio, dal cancellare subito le baby e maxi-pensioni.
Il Decreto "Salva Italia" di Monti è solo un piccolo, timido, insufficiente passo, che lascia sul tavolo aperti tantissimi squilibri. E saremo ancora noi a dover pagare per gli errori del passato (e del presente).
Il Decreto "Salva Italia" di Monti è solo un piccolo, timido, insufficiente passo, che lascia sul tavolo aperti tantissimi squilibri. E saremo ancora noi a dover pagare per gli errori del passato (e del presente).
24 novembre 2011
Finmeccanica: il marcio viene a galla
Ho ascoltato le notizie di questi giorni su Finmeccanica con molta attenzione, ma senza alcuna sorpresa. Ho sempre saputo che la sua gestione e le sue relazioni industriali avessero qualcosa di poco pulito. Tempo fa ho anche scritto un personale report su Finmeccanica, raccontando un episodio in grado di mettere in evidenza le torbide relazioni dell'industria militare con il mondo universitario.
Alla luce delle recenti indagini giudiziarie, che hanno fatto emergere la corruzione e il malaffare "sistemico" nell'operare di Finmeccanica, dovrei forse provare soddisfazione; potrei dire "l'avevo detto", potrei deridere quei professori che a Pisa mi chiesero di appoggiarli nel rinsaldare i rapporti con questo gruppo, potrei gioire del tracollo finanziario del gruppo.
E invece provo solo una profonda tristezza. Tristezza per quei lavoratori che perderanno il posto a causa di bilanci disastrati, tristezza perché in Italia perfino un'azienda monopolista è in grado di fallire.
Avrei preferito sbagliarmi.
11 novembre 2011
11/11/11 ore 11:11.11
Non che abbia nulla da dire, ma una data come quella di oggi genera un palindromo a 6 cifre!
Con ore, minuti e secondi arriviamo a 12, e se geolocalizziamo con il CAP più lungo a disposizione su Google Maps, arriviamo a 17 cifre!
Forse deve accadere un evento biblico, forse finalmente Berlusconi si schioderà dalla poltrona...
Con ore, minuti e secondi arriviamo a 12, e se geolocalizziamo con il CAP più lungo a disposizione su Google Maps, arriviamo a 17 cifre!
Forse deve accadere un evento biblico, forse finalmente Berlusconi si schioderà dalla poltrona...
8 novembre 2011
Dimissioni
Già troppe volte ho creduto che le dimissioni di Berlusconi fossero imminenti. Ricordo di un gioco di parole sulle sue dimissioni dall'ospedale, un'auspicata ribellione al pari della Libia, analogie con Mubarak e Al Capone, un video che "celebrava" la fine di un dramma. Aspettative puntualmente disattese.
Aspetto quindi a festeggiare, ho paura di quello che può fare "un Capitale in mano ad un Criminale".
Nel mentre, riflettiamo sull'andamento odierno della borsa sulla scia delle voci delle dimissioni di Berlusconi: semplicemente imbarazzante.
Aspetto quindi a festeggiare, ho paura di quello che può fare "un Capitale in mano ad un Criminale".
Nel mentre, riflettiamo sull'andamento odierno della borsa sulla scia delle voci delle dimissioni di Berlusconi: semplicemente imbarazzante.
24 ottobre 2011
WEB PRESENCE DEI PARTITI POLITICI ITALIANI: STRATEGIE DI COMUNICAZIONE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO NEL WEB 3.0
Oggi si conclude un percorso che, fra non poche difficoltà, mi ha impegnato per 4 anni. L'ho vissuto con la passione di chi ha sete di imparare, quindi è stato più facile accettarne i sacrifici impliciti, seguire 5 ore di lezione dopo 9 di lavoro, studiare dalle 22 (ora in cui Marica si addormenta) alle 4 di mattina, superare l'amarezza per le storture di un mondo accademico che ha poco di formativo e molto di casta.
Di tutto questo rimane la consapevolezza che, nonostante tutto, studiare e imparare è bello: un'altra laurea, quindi, magari all'estero, è da mettere in conto.
Condivido infine, in pieno spirito Web 3.0, la mia tesi di laurea, che racchiude molti degli argomenti trattati in questo blog (perché, in fondo, sono le passioni di una vita): "WEB PRESENCE DEI PARTITI POLITICI ITALIANI: STRATEGIE DI COMUNICAZIONE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO NEL WEB 3.0".
Di tutto questo rimane la consapevolezza che, nonostante tutto, studiare e imparare è bello: un'altra laurea, quindi, magari all'estero, è da mettere in conto.
Condivido infine, in pieno spirito Web 3.0, la mia tesi di laurea, che racchiude molti degli argomenti trattati in questo blog (perché, in fondo, sono le passioni di una vita): "WEB PRESENCE DEI PARTITI POLITICI ITALIANI: STRATEGIE DI COMUNICAZIONE E PROSPETTIVE DI SVILUPPO NEL WEB 3.0".
22 ottobre 2011
Baby Shopping
Sapevo che i bambini imitano tutto quello che fanno i genitori, ... ma non pensavo fino a questo punto!
30 settembre 2011
28 settembre 2011
Koan Zen
Un monaco domandò al maestro Nan-ch'uan:
«Che cos'è lo Zen?»
«È la vita di tutti i giorni.»
«E come ci si avvicina ad esso?»
«Più cerchi di avvicinarti, più te ne allontani.»
18 settembre 2011
15 settembre 2011
M.
Oggi M. inviterà nuovamente a pranzo M. e lei, questa volta, accetterà. M. sarà assunto e lavorerà con più grinta; l'altro M. porterà la moglie a cena fuori per l'anniversario di matrimonio, e lei ne sarà contenta. M. sarà più calmo di ieri, perché la casa ormai è finita e il parto è ancora lontano; l'altro M. mi darà finalmente soddisfazione, disegnandomi l'Ex-Libris che aspetto da un anno. Uscito da lavoro telefonerò a mio fratello M., che mi dirà che sua moglie M. sta bene e la bimba nel pancione pure. Infine tornerò a casa dalle mie M. e, per una volta dopo tanti mesi, non potrò certo dire che è stata una giornata di m.
6 settembre 2011
La Crisi Economica è già passata. Sul cadavere dell'Italia
Qualche anno fa ridevamo con le vignette acute ed argute di Arnald, guardando la crisi economica partita dai mutui sub-prime che investiva mezzo mondo.
La notizia è che la crisi "ha fatto retromarcia". Ed ha beccato in pieno l'Italia.
27 agosto 2011
Pensare alla Fine ci rende saggi
Alcuni giorni fa Steve Jobs, co-fondatore di Apple, ha lasciato la carica di Amministratore Delegato della società che ha gestito per più di 25 anni, a causa dei seri problemi si salute che lo accompagnano dal 2004.
Trovandomi ad approfondire la sua storia per un post che ho scritto sul Blogfolio di Archimede, mi sono imbattuto in questo discorso a dir poco illuminante, che ha tenuto nel 2005 per i neolaureati di Stanford.
Trovandomi ad approfondire la sua storia per un post che ho scritto sul Blogfolio di Archimede, mi sono imbattuto in questo discorso a dir poco illuminante, che ha tenuto nel 2005 per i neolaureati di Stanford.
Mi auguro che ciascuno possa trovarci spunti di riflessione utili per le sue scelte di vita.
Alle perle di saggezza che ci lascia Steve, ne aggiungo una che mi è stata recentemente "regalata" da una persona che si è fermata a riflettere sulla Fine:
"Nihil amittitur, quod amore actum."
Ovvero: "Nulla è perso di ciò che è fatto con amore". Forse basta pensare a questo per vivere bene ogni istante della nostra vita.
23 agosto 2011
Andamento della Borsa Italiana negli ultimi 6 mesi
Se si guarda il grafico dell'andamento della Borsa Italiana negli ultimi sei mesi si rimane sconcertati: si è perso oltre un terzo della capitalizzazione delle società quotate a Milano.
La riflessione perciò è: o erano sbagliate la quotazioni di 6 mesi fa, perché il mercato le ha sopravvalutate (e quindi NON HA FUNZIONATO), oppure le sta sottovalutando adesso (e quindi NON FUNZIONA).
In entrambi i casi siamo dei folli se riponiamo un briciolo di fiducia in questo sistema economico e nell'apparato politico-lobbistico che lo sostiene.
Posso dire che l'avevo detto, ma non è una consolazione. Ci dobbiamo profondamente convincere che così non si può andare avanti. Quindi lo ripeto: di quante altre crisi economiche abbiamo bisogno per capire che questo sistema economico va abbandonato??
La riflessione perciò è: o erano sbagliate la quotazioni di 6 mesi fa, perché il mercato le ha sopravvalutate (e quindi NON HA FUNZIONATO), oppure le sta sottovalutando adesso (e quindi NON FUNZIONA).
In entrambi i casi siamo dei folli se riponiamo un briciolo di fiducia in questo sistema economico e nell'apparato politico-lobbistico che lo sostiene.
Posso dire che l'avevo detto, ma non è una consolazione. Ci dobbiamo profondamente convincere che così non si può andare avanti. Quindi lo ripeto: di quante altre crisi economiche abbiamo bisogno per capire che questo sistema economico va abbandonato??
21 luglio 2011
Open Water Diver
Da tre giorni ho iniziato il corso Open Water Diver della PADI. Si tratta di un corso per conseguire il brevetto per immersioni in acque aperte, fino a 18 metri di profondità.
Si racconta che da piccolo volevo fare il "sommozzatore". Dopo una ventina di anni ci sono riuscito.
Si racconta che da piccolo volevo fare il "sommozzatore". Dopo una ventina di anni ci sono riuscito.
5 luglio 2011
La notte della rete
Sembra proprio che la rete rischi ancora una volta di essere imbavagliata.
Questa volta ad attentare alla libertà di opinione e libera circolazione delle informazioni c'è una delibera dell'Autorità garante per le Comunicazioni che, in presenza di violazioni del copyright, prevede l'oscuramento dei siti italiani e stranieri. Potrebbe essere il Cavallo di Troia che darà via libera all'oscuramento preventivo dei siti da parte dell'Agcom, senza passare per l'autorizzazione di un giudice.
Oggi, 5 luglio 2011, a 24 ore dall'approvazione della delibera definita dai blogger italiani "ammazza-Internet", artisti, esponenti della rete, leader politici, cittadini e utenti del web si troveranno a Roma per una no-stop contro il provvedimento.
Dalle 17.30 alle 21 di oggi, anche questo blog trasmetterà in diretta l'evento La Notte delle Rete, in streaming.
Questa volta ad attentare alla libertà di opinione e libera circolazione delle informazioni c'è una delibera dell'Autorità garante per le Comunicazioni che, in presenza di violazioni del copyright, prevede l'oscuramento dei siti italiani e stranieri. Potrebbe essere il Cavallo di Troia che darà via libera all'oscuramento preventivo dei siti da parte dell'Agcom, senza passare per l'autorizzazione di un giudice.
Oggi, 5 luglio 2011, a 24 ore dall'approvazione della delibera definita dai blogger italiani "ammazza-Internet", artisti, esponenti della rete, leader politici, cittadini e utenti del web si troveranno a Roma per una no-stop contro il provvedimento.
Dalle 17.30 alle 21 di oggi, anche questo blog trasmetterà in diretta l'evento La Notte delle Rete, in streaming.
13 giugno 2011
Felice incredulità
Referendum 2011: affluenza al 57% (in Trentino Alto-Adige oltre il 64%) e 95% di sì.
Ecco, io non ci credevo, ma è successo. Ora tocca restare in Italia...
Ecco, io non ci credevo, ma è successo. Ora tocca restare in Italia...
12 giugno 2011
9 giugno 2011
Cos'è il Web 3.0
Esco ora dall'esame di Ingegneria del Web 2 e corro a scrivere di Web 3.0.
Lo faccio perché trovo tremendamente fuori luogo che nelle università si studino cose non attuali.
Le teorie economiche che studiamo sono vecchie di secoli, quelle dominanti ci hanno fatto cadere in decine di crisi mondiali, eppure le continuiamo a studiare ed applicare. Immaginate uno studente di medicina che si veda insegnare da un docente universitario la pratica del salasso; cosa dovrebbe fare??
Ecco, nelle università italiane (e non solo) si studia ancora l'Economia Neoclassica e non Manfred Max-Neef (per citarne uno fra i tanti che hanno formulato idee "attuali" in ambito socio-economico).
Riguardo ad internet, dove tutto corre e si evolve velocemente, studiare oggi il Web 2.0 significa essere in ritardo non di 6-7 anni (a quando risale la prima definizione di 2.0), ma di 70!
Per questo sento l'esigenza di parlare di Web 3.0, del web come lo viviamo oggi, per darne una mia definizione e capire alcune dinamiche che stanno prendendo piede.
Prima di iniziare devo sgombrare il campo da equivoci. C'è chi parla di Web 3.0 già da anni, intendendo una pluralità di cose poco chiare e ancora lontane dal realizzarsi; dal web semantico, al web 3D, passando per le interazioni con applicazioni di intelligenza artificiale. NON SONO ASSOLUTAMENTE D'ACCORDO. Si tratta di cose di là da venire, spesso progetti troppo accademici (come il web semantico) che richiederebbero decenni per trovare piena realizzazione. E nel Web i decenni sono secoli.
Che senso ha, quindi, utilizzare queste definizioni? Mi riprometto di aggiornare Wikipedia...
Spesso chi lavora sul web si imbatte in termini nuovi, che fino al giorno prima non esistevano. A volte sono il frutto di fortunati articoli giornalistici che descrivono in maniera brillante i fenomeni presenti sul WWW, la rete li fa suoi, ed i concetti e termini proposti diventano conoscenza condivisa. Altre volte i nuovi termini sono la sintesi spontanea, generata dalla rete stessa, di concetti ampiamente metabolizzati, ma che non potevano essere riassunti in un solo nome, finché la loro diffusione non fosse stata sufficientemente ampia da garantire riconoscibilità ed univocità del significato ad essi associato.
Il termine Web 2.0 sta a metà tra i due "processi di denominazione". Aleggiava nella rete già da tempo, ma venne cristallizzato da un articolo di Tim O'Reilly (Cos'è Web 2.0) che descriveva un brainstorming nel quale erano emerse le caratteristiche di base delle evoluzioni del Web degli ultimi anni.
Si identificarono una serie di fenomeni/funzioni di ordine sociologico/tecnologico che costituivano una vera evoluzione del Web (anche se a sentire le intenzioni del creatore, Tim Berners-Lee, queste funzioni erano già nell'idea iniziale di world wide web).
Quella che andrò a descrivere, quindi, è una mia personale interpretazione di come si è evoluto il web ad oggi; saranno poi gli stessi internauti a decretare l'efficacia o meno di questa definizione; e, soprattutto, la necessità o meno di etichettarla con il termine Web 3.0.
Dunque, volendo sintetizzare in una frase la definizione che io darei al web di oggi, potrei dire: Il Web 3.0 è capace di rispondere alle interazioni degli utenti modificando la realtà ad un livello profondo, paragonabile agli effetti di interazioni fra utenti reali.
La diffusione delle reti sociali, delle tecnologie per tracciare le preferenze utente, la saturazione dei mercati tradizionali e l'esigenza per le aziende di una comunicazione sempre più one-to-one, la geolocalizzazione, la fruizione del web su dispositivi mobile e i QR code, la tendenza a cercare referenze sui contenuti per districarsi nell'enorme mole di materiale presente sul Web, la velocità con cui si dà o riceve una referenza e tante altre concause di livello tecnologico e sociologico sono alla base dell'aumentato potere del Web e delle sue possibilità concrete di agire direttamente sulla realtà.
Ecco un'immagine che può schematizzare il tipo di evoluzione della relazione utente-web.
Si parte, nell'epoca della nascita del Web, da un tipo di relazione passiva, in cui l'utente essenzialmente usufruiva di contenuti presenti in rete. Si passa per il Web 2.0, in cui l'utente interagisce sempre più sui siti e diventa egli stesso creatore di contenuti. Si arriva poi ad una terza fase in cui il Web genera un nuovo output capace di modificare la realtà dell'utente; si crea cioè un ritorno dell'interazione all'utente stesso, che non è più il frutto diretto e meccanico della sua azione, ma bensì "una risposta" del Web.
Dopo questi concetti molto astratti, cerchiamo di capire cos'è il Web oggi a partire da esempi pratici, esposti un po' frammentariamente perché fare una discussione strutturata su fenomeni così fluidi e dinamici è piuttosto complicato.
Le rivoluzioni dei paesi del Nord Africa di questi giorni sono nate sul Web. Si sono coordinate sul Web. Hanno avuto risonanza grazie al Web. Hanno fatto cadere governi nel mondo reale.
Mai niente di tutto ciò era accaduto, né lontanamente pronosticabile, quando si parlava, nel 2004, di Web 2.0.
La possibilità di ricevere, proprio mentre faccio check-in al cinema con il mio cellulare, uno sconto sul biglietto di ingresso al prossimo film in programmazione nella sala, è una risposta ad una mia azione. Anche se il check-in l'ho fatto al solo scopo di condividere con i miei amici posizione o interessi, la piattaforma mi risponde (più o meno intelligentemente a seconda di quanto è sofisticata la strategia di advertising pianificata dal gestore del cinema).
Gli utenti web di oggi sono sempre più pigri e si affidano ai search engine (e a Google in particolare) per qualsiasi ricerca di informazioni; perdono, o rinunciano, a parte del loro potere di discernimento affidandosi alla SERP (pagina dei risultati) di Google per azioni che hanno ricadute sul reale.
Non essere posizionato nei motori di ricerca, ad esempio, per un hotel può voler dire fallire.
Anche una singola recensione negativa su un portale come TripAdvisor può avere effetti disastrosi sulla brand reputation online e quindi conseguenze sul business reale.
Nel Web 3.0 sono poi cambiate le piattaforme sociali, i siti di riferimento per la fruizione di servizi e/o contenuti, il modo stesso di generare contenuti da parte degli utenti e dei publisher professionali, il modo di cercarli, di aggregarli.
A puro titolo esemplificativo ho provato ad aggiungere alla tabella realizzata da O'Reilly per spiegare il Web 2.0 una colonna che introducesse il concetto di Web 3.0.
Senza entrare nei dettagli di ogni sviluppo che ho provato ad identificare, mi vorrei solo soffermare sul concetto di Referenza Sociale (social reference).
Innanzitutto i legami deboli generatisi grazie al proliferare della "cultura social" hanno implicazioni dirette nella creazione dei fenomeni proprio del Web 3.0.
Nel seguente documento, scritto alcuni mesi fa nell'ambito di studi di organizzazione aziendale, avevo identificato i tratti salienti dei legami deboli creati sui Social Network.
Ad esempio, la rete sociale che ognuno degli oltre 600 milioni di individui presenti su Facebook si porta dietro, ha una sua autonoma capacità di influire sulle scelte dell'individuo e della società nel suo complesso.
Per questa ragione il diffondersi del Mi Piace di Facebook è stato seguito a ruota del pulsante PlusOne di Google (+1). Da pochi giorni, infatti, chiunque abbia un account Google può segnalare alla propria rete sociale le sue preferenze di contenuti presenti sul Web, utilizzando il pulsante +1 (che potete trovare anche su questo sito).
E da militante SEO di lunga data sono certo che Google utilizzerà i dati raccolti per modificare l'algoritmo che gestisce i risultati di ricerca.
(A quest link vi segnalo uno scambio di opinioni con un altro esperto SEO riguardo questo tema).
La referenza sociale, quindi, pare sostituire tanti altri criteri prima ritenuti importanti (dal Page Rank alla Keyword Density).
Non tanto tempo fa, infatti, scrivevo su questo blog:
Comunque questo è il trend che il Web ha oggi; per fare un gioco di significati con i numeri 2.0 +1 = 3.0
... cioè il Web 2.0 unito alla referenza sociale si potenzia e diventa 3.0!
Ma sarà vero tutto ciò? Il modo migliore per capirlo è provare ad ipotizzare cose ancora non realizzate, ma che, quando accadranno, saranno la conferma esplicita di un trend iniziato molto prima...
Diciamo che in un domani non lontano andrete in un supermercato e vi capiterà di puntare il cellulare su un QR code di un prodotto per ricevere informazioni dettagliate sul prodotto stesso. E fin qui nulla di eccezionale. Poi all'improvviso, sull'etichetta elettronica con il prezzo del prodotto, comparirà un'offerta di "Prova Primo Acquisto" con uno sconto a voi riservato; sul cellulare compariranno i nomi dei vostri amici che l'hanno già provato e fatto I-like su Facebook o +1 su Google. Vi recherete alle casse e, mentre starete pagando con il sistema RFID del vostro telefonino il nuovo prodotto acquistato, partirà in automatico un +1 sul sito del produttore, orgoglioso di pubblicizzare il crescente numero di clienti acquisiti...
Vi ricorderete di questo post e avrete paura, pensando all'avvento del Web 4.0.
Ma ne sarete già parte.
:-)
Lo faccio perché trovo tremendamente fuori luogo che nelle università si studino cose non attuali.
Le teorie economiche che studiamo sono vecchie di secoli, quelle dominanti ci hanno fatto cadere in decine di crisi mondiali, eppure le continuiamo a studiare ed applicare. Immaginate uno studente di medicina che si veda insegnare da un docente universitario la pratica del salasso; cosa dovrebbe fare??
Ecco, nelle università italiane (e non solo) si studia ancora l'Economia Neoclassica e non Manfred Max-Neef (per citarne uno fra i tanti che hanno formulato idee "attuali" in ambito socio-economico).
Riguardo ad internet, dove tutto corre e si evolve velocemente, studiare oggi il Web 2.0 significa essere in ritardo non di 6-7 anni (a quando risale la prima definizione di 2.0), ma di 70!
Per questo sento l'esigenza di parlare di Web 3.0, del web come lo viviamo oggi, per darne una mia definizione e capire alcune dinamiche che stanno prendendo piede.
Prima di iniziare devo sgombrare il campo da equivoci. C'è chi parla di Web 3.0 già da anni, intendendo una pluralità di cose poco chiare e ancora lontane dal realizzarsi; dal web semantico, al web 3D, passando per le interazioni con applicazioni di intelligenza artificiale. NON SONO ASSOLUTAMENTE D'ACCORDO. Si tratta di cose di là da venire, spesso progetti troppo accademici (come il web semantico) che richiederebbero decenni per trovare piena realizzazione. E nel Web i decenni sono secoli.
Che senso ha, quindi, utilizzare queste definizioni? Mi riprometto di aggiornare Wikipedia...
Spesso chi lavora sul web si imbatte in termini nuovi, che fino al giorno prima non esistevano. A volte sono il frutto di fortunati articoli giornalistici che descrivono in maniera brillante i fenomeni presenti sul WWW, la rete li fa suoi, ed i concetti e termini proposti diventano conoscenza condivisa. Altre volte i nuovi termini sono la sintesi spontanea, generata dalla rete stessa, di concetti ampiamente metabolizzati, ma che non potevano essere riassunti in un solo nome, finché la loro diffusione non fosse stata sufficientemente ampia da garantire riconoscibilità ed univocità del significato ad essi associato.
Il termine Web 2.0 sta a metà tra i due "processi di denominazione". Aleggiava nella rete già da tempo, ma venne cristallizzato da un articolo di Tim O'Reilly (Cos'è Web 2.0) che descriveva un brainstorming nel quale erano emerse le caratteristiche di base delle evoluzioni del Web degli ultimi anni.
Si identificarono una serie di fenomeni/funzioni di ordine sociologico/tecnologico che costituivano una vera evoluzione del Web (anche se a sentire le intenzioni del creatore, Tim Berners-Lee, queste funzioni erano già nell'idea iniziale di world wide web).
Quella che andrò a descrivere, quindi, è una mia personale interpretazione di come si è evoluto il web ad oggi; saranno poi gli stessi internauti a decretare l'efficacia o meno di questa definizione; e, soprattutto, la necessità o meno di etichettarla con il termine Web 3.0.
Dunque, volendo sintetizzare in una frase la definizione che io darei al web di oggi, potrei dire: Il Web 3.0 è capace di rispondere alle interazioni degli utenti modificando la realtà ad un livello profondo, paragonabile agli effetti di interazioni fra utenti reali.
La diffusione delle reti sociali, delle tecnologie per tracciare le preferenze utente, la saturazione dei mercati tradizionali e l'esigenza per le aziende di una comunicazione sempre più one-to-one, la geolocalizzazione, la fruizione del web su dispositivi mobile e i QR code, la tendenza a cercare referenze sui contenuti per districarsi nell'enorme mole di materiale presente sul Web, la velocità con cui si dà o riceve una referenza e tante altre concause di livello tecnologico e sociologico sono alla base dell'aumentato potere del Web e delle sue possibilità concrete di agire direttamente sulla realtà.
Ecco un'immagine che può schematizzare il tipo di evoluzione della relazione utente-web.
Si parte, nell'epoca della nascita del Web, da un tipo di relazione passiva, in cui l'utente essenzialmente usufruiva di contenuti presenti in rete. Si passa per il Web 2.0, in cui l'utente interagisce sempre più sui siti e diventa egli stesso creatore di contenuti. Si arriva poi ad una terza fase in cui il Web genera un nuovo output capace di modificare la realtà dell'utente; si crea cioè un ritorno dell'interazione all'utente stesso, che non è più il frutto diretto e meccanico della sua azione, ma bensì "una risposta" del Web.
Dopo questi concetti molto astratti, cerchiamo di capire cos'è il Web oggi a partire da esempi pratici, esposti un po' frammentariamente perché fare una discussione strutturata su fenomeni così fluidi e dinamici è piuttosto complicato.
Le rivoluzioni dei paesi del Nord Africa di questi giorni sono nate sul Web. Si sono coordinate sul Web. Hanno avuto risonanza grazie al Web. Hanno fatto cadere governi nel mondo reale.
Mai niente di tutto ciò era accaduto, né lontanamente pronosticabile, quando si parlava, nel 2004, di Web 2.0.
La possibilità di ricevere, proprio mentre faccio check-in al cinema con il mio cellulare, uno sconto sul biglietto di ingresso al prossimo film in programmazione nella sala, è una risposta ad una mia azione. Anche se il check-in l'ho fatto al solo scopo di condividere con i miei amici posizione o interessi, la piattaforma mi risponde (più o meno intelligentemente a seconda di quanto è sofisticata la strategia di advertising pianificata dal gestore del cinema).
Gli utenti web di oggi sono sempre più pigri e si affidano ai search engine (e a Google in particolare) per qualsiasi ricerca di informazioni; perdono, o rinunciano, a parte del loro potere di discernimento affidandosi alla SERP (pagina dei risultati) di Google per azioni che hanno ricadute sul reale.
Non essere posizionato nei motori di ricerca, ad esempio, per un hotel può voler dire fallire.
Anche una singola recensione negativa su un portale come TripAdvisor può avere effetti disastrosi sulla brand reputation online e quindi conseguenze sul business reale.
Nel Web 3.0 sono poi cambiate le piattaforme sociali, i siti di riferimento per la fruizione di servizi e/o contenuti, il modo stesso di generare contenuti da parte degli utenti e dei publisher professionali, il modo di cercarli, di aggregarli.
A puro titolo esemplificativo ho provato ad aggiungere alla tabella realizzata da O'Reilly per spiegare il Web 2.0 una colonna che introducesse il concetto di Web 3.0.
Un confronto fra Web 1.0, Web 2.0 e Web 3.0 |
(Qui vi segnalo il file in Google Docs, per chi non riuscisse a leggere bene o per chi volesse provare a suggerire ulteriori confronti fra le evoluzioni del Web.)
Senza entrare nei dettagli di ogni sviluppo che ho provato ad identificare, mi vorrei solo soffermare sul concetto di Referenza Sociale (social reference).
Innanzitutto i legami deboli generatisi grazie al proliferare della "cultura social" hanno implicazioni dirette nella creazione dei fenomeni proprio del Web 3.0.
Nel seguente documento, scritto alcuni mesi fa nell'ambito di studi di organizzazione aziendale, avevo identificato i tratti salienti dei legami deboli creati sui Social Network.
Per questa ragione il diffondersi del Mi Piace di Facebook è stato seguito a ruota del pulsante PlusOne di Google (+1). Da pochi giorni, infatti, chiunque abbia un account Google può segnalare alla propria rete sociale le sue preferenze di contenuti presenti sul Web, utilizzando il pulsante +1 (che potete trovare anche su questo sito).
E da militante SEO di lunga data sono certo che Google utilizzerà i dati raccolti per modificare l'algoritmo che gestisce i risultati di ricerca.
(A quest link vi segnalo uno scambio di opinioni con un altro esperto SEO riguardo questo tema).
La referenza sociale, quindi, pare sostituire tanti altri criteri prima ritenuti importanti (dal Page Rank alla Keyword Density).
Non tanto tempo fa, infatti, scrivevo su questo blog:
[...] Non sarei sorpreso, ad esempio, che Google iniziasse a monitorare tempo di permanenza e pagine visitate in un sito, oltre alla frequenza di rimbalzo (ovvero chi abbandona il sito nei primi 30 secondi di navigazione), per premiare la qualità dei contenuti e la user experience.
In questo modo si applicherebbe una logica ancora più "democratica" al web: si trasformerà cioé la navigazione dell'utente in una sorta di "voto di qualità" al sito che sta visionando.Ecco, la previsione si è avverata in pieno. Cos'è, in fondo, il Mi Piace o il +1 se non un voto ad un contenuto web? Quello che poi bisogna tener presente è che questo voto ha un potere incredibile, in grado di avere ricadute sulla realtà come mai prima era successo. Non è detto infatti che "la folla" sia sempre intelligente. E non è detto che il rumore di fondo delle referenze sociali di certi contenuti debba scalzare legittimamente dalle prime pagine dei motori di ricerca siti web validi ma poco referenziati. In fondo l'accesso all'informazione è una cosa seria ed io non vorrei mai che la maggioranza decidesse per me cosa è giusto che io mi trovi per primo su Google...
Comunque questo è il trend che il Web ha oggi; per fare un gioco di significati con i numeri 2.0 +1 = 3.0
... cioè il Web 2.0 unito alla referenza sociale si potenzia e diventa 3.0!
Ma sarà vero tutto ciò? Il modo migliore per capirlo è provare ad ipotizzare cose ancora non realizzate, ma che, quando accadranno, saranno la conferma esplicita di un trend iniziato molto prima...
Diciamo che in un domani non lontano andrete in un supermercato e vi capiterà di puntare il cellulare su un QR code di un prodotto per ricevere informazioni dettagliate sul prodotto stesso. E fin qui nulla di eccezionale. Poi all'improvviso, sull'etichetta elettronica con il prezzo del prodotto, comparirà un'offerta di "Prova Primo Acquisto" con uno sconto a voi riservato; sul cellulare compariranno i nomi dei vostri amici che l'hanno già provato e fatto I-like su Facebook o +1 su Google. Vi recherete alle casse e, mentre starete pagando con il sistema RFID del vostro telefonino il nuovo prodotto acquistato, partirà in automatico un +1 sul sito del produttore, orgoglioso di pubblicizzare il crescente numero di clienti acquisiti...
Vi ricorderete di questo post e avrete paura, pensando all'avvento del Web 4.0.
Ma ne sarete già parte.
:-)
5 giugno 2011
La libertà economica e lo Sviluppo su Scala Umana di Max-Neef
Questa mattina sono andato ad ascoltare Manfred Arthur Max-Neef che spiegava al "popolo" del Festival dell'Economia di Trento, in cosa consiste il suo modello di Sviluppo su Scala Umana.
L'incontro era stato organizzato da Habitech, società con la quale collaboro in qualità di Project Manager per la realizzazione dei portali odatech.it e greenmap.it (quest'ultimo ancora in fase di realizzazione).
Mi ero quindi recato più per conoscenza dell'ente curatore che per la curiosità di ascoltare l'ospite relatore.
Ma è stata una piacevole sorpresa scoprire questo quasi ottantenne economista cileno che va in giro per il mondo difendendo un valore fondamentale: "Assolutamente, in nessuna circostanza, un processo o un interesse economico può prevalere sul rispetto per la vita".
E da oltre vent'anni sostiene la necessità di attuare un modello di sviluppo basato su tale valore e su 5 semplici postulati (frutto della sua teoria economica transdisciplinare "Human Scale Development"):
Sentivo allora parlare per la prima volta di Decrescita, Bioeconomia, Human Development Index e tanti altri concetti che negli anni successivi di studi economici non ha mai più incontrato.
Mentre li studiavo e ne discutevo con gli amici di ISF sembrava quasi che fossero lì lì per essere al centro del dibattito internazionale e della scena politica italiana. Ma dopo più di un lustro siamo ancora assillati da concetti obsoleti come PIL, inflazione e crescita economica.
Sentire Manfred Max-Neef è stata quindi una nuova iniezione di fiducia, un modo di ricordarmi che si possono creare le condizioni per una felicità umana diffusa e condivisa, che però nulla ha che vedere con la crescita economica a tutti i costi.
Pensando poi al tema centrale di questa sesta edizione del Festival dell'Economia, cioè "I confini della libertà economica", mi sorgeva spontanea una sintesi dei tanti concetti ascoltati nelle varie conferenze:
Sembra banale, ma la sua traduzione nella realtà resta oggigiorno disattesa. Vorrebbe infatti dire: "la tua libertà di acquistare un future lungo sul prezzo del grano a 5 anni finisce lì dove tale azione rischia di affamare anche un solo individuo in un qualsiasi paese del mondo". E, per quanto assurdo sembri, la speculazione finanziaria, in nome della libertà economica sancita del capitalismo, mortifica quotidianamente il valore fondamentale propugnato da Max-Neef.
L'incontro era stato organizzato da Habitech, società con la quale collaboro in qualità di Project Manager per la realizzazione dei portali odatech.it e greenmap.it (quest'ultimo ancora in fase di realizzazione).
Mi ero quindi recato più per conoscenza dell'ente curatore che per la curiosità di ascoltare l'ospite relatore.
Ma è stata una piacevole sorpresa scoprire questo quasi ottantenne economista cileno che va in giro per il mondo difendendo un valore fondamentale: "Assolutamente, in nessuna circostanza, un processo o un interesse economico può prevalere sul rispetto per la vita".
E da oltre vent'anni sostiene la necessità di attuare un modello di sviluppo basato su tale valore e su 5 semplici postulati (frutto della sua teoria economica transdisciplinare "Human Scale Development"):
- L’economia esiste per servire le persone, e non le persone per servire l’economia.
- Lo sviluppo riguarda le persone, non gli oggetti.
- La crescita non è la stessa cosa dello sviluppo e lo sviluppo non necessariamente ha bisogno di crescita.
- Nessuna economia è possibile in assenza dei servizi forniti dagli ecosistemi.
- L’economia è un sottosistema di un sistema più grande e finito, la biosfera, per cui una crescita permanente è impossibile.
Sentivo allora parlare per la prima volta di Decrescita, Bioeconomia, Human Development Index e tanti altri concetti che negli anni successivi di studi economici non ha mai più incontrato.
Mentre li studiavo e ne discutevo con gli amici di ISF sembrava quasi che fossero lì lì per essere al centro del dibattito internazionale e della scena politica italiana. Ma dopo più di un lustro siamo ancora assillati da concetti obsoleti come PIL, inflazione e crescita economica.
Sentire Manfred Max-Neef è stata quindi una nuova iniezione di fiducia, un modo di ricordarmi che si possono creare le condizioni per una felicità umana diffusa e condivisa, che però nulla ha che vedere con la crescita economica a tutti i costi.
Pensando poi al tema centrale di questa sesta edizione del Festival dell'Economia, cioè "I confini della libertà economica", mi sorgeva spontanea una sintesi dei tanti concetti ascoltati nelle varie conferenze:
La libertà economica del singolo finisce lì dove si rischiano di compromettere i bisogni essenziali e la dignità del prossimo.
Sembra banale, ma la sua traduzione nella realtà resta oggigiorno disattesa. Vorrebbe infatti dire: "la tua libertà di acquistare un future lungo sul prezzo del grano a 5 anni finisce lì dove tale azione rischia di affamare anche un solo individuo in un qualsiasi paese del mondo". E, per quanto assurdo sembri, la speculazione finanziaria, in nome della libertà economica sancita del capitalismo, mortifica quotidianamente il valore fondamentale propugnato da Max-Neef.
30 maggio 2011
16 maggio 2011
Le elezioni amministrative e La Breccia di Pisapia
I risultati delle elezioni amministrative 2011 stanno ormai prendendo forma e, fra i commenti gracchianti dei politicanti nei talk-show televisivi, apprendo che il centro-sinistra, qualsiasi cosa voglia dire questo termine, sta vincendo ampiamente nelle principali provincie e comuni italiani che sono andati al voto.
Forse dovrei gioire, forse dovrei rallegrarmi per questi flebili accenni di risveglio del popolo italiano. Ma mi sento distante, quasi triste per una rivoluzione che non è più dietro l'angolo. Si passa da un male all'altro, con il labile conforto che l'ultimo sia minore del precedente.
Questa politica è malata, questo Paese lo è. Tuttavia mi sforzo di credere, ancora una volta, che il cambiamento possa esserci, che le ultime elezioni possano avere un senso...
Continuano ad arrivare risultati dai seggi scrutinati, continuano a beccarsi nei salotti della politica televisiva i soliti stolti corvi gracchianti...
Più di tutti risuona il risultato di Pisapia a Milano, che supera la Moratti oltre ogni aspettativa, e c'è chi, giocando con l'assonanza del suo nome, conia lo slogan "La Breccia di Pisapia".
Ecco mi piace il claim, mi piace l'idea, ma tutto lì. Mi sento distaccato dal significato politico, stanco della corsa all'interpretazione dei risultati elettorali.
In fondo non ho una rappresentanza politica nella quale identificarmi; mi piace Vendola, mi piace il Movimento 5 Stelle, forse persino Grillo; nel PD stimo più Matteo Renzi che qualsiasi altro leader.
Forse è questa cronica sfiducia nella classe dirigente dei partiti che non mi permette di gioire.
... Però "La Breccia di Pisapia" è un bello slogan, deve averlo fatto un copywriter di sinistra.
Per ora rimando ogni decisione di emigrare, in fondo, se l'Italia può creare La Breccia di Pisapia...
Forse dovrei gioire, forse dovrei rallegrarmi per questi flebili accenni di risveglio del popolo italiano. Ma mi sento distante, quasi triste per una rivoluzione che non è più dietro l'angolo. Si passa da un male all'altro, con il labile conforto che l'ultimo sia minore del precedente.
Questa politica è malata, questo Paese lo è. Tuttavia mi sforzo di credere, ancora una volta, che il cambiamento possa esserci, che le ultime elezioni possano avere un senso...
Continuano ad arrivare risultati dai seggi scrutinati, continuano a beccarsi nei salotti della politica televisiva i soliti stolti corvi gracchianti...
Più di tutti risuona il risultato di Pisapia a Milano, che supera la Moratti oltre ogni aspettativa, e c'è chi, giocando con l'assonanza del suo nome, conia lo slogan "La Breccia di Pisapia".
Ecco mi piace il claim, mi piace l'idea, ma tutto lì. Mi sento distaccato dal significato politico, stanco della corsa all'interpretazione dei risultati elettorali.
In fondo non ho una rappresentanza politica nella quale identificarmi; mi piace Vendola, mi piace il Movimento 5 Stelle, forse persino Grillo; nel PD stimo più Matteo Renzi che qualsiasi altro leader.
Forse è questa cronica sfiducia nella classe dirigente dei partiti che non mi permette di gioire.
... Però "La Breccia di Pisapia" è un bello slogan, deve averlo fatto un copywriter di sinistra.
Per ora rimando ogni decisione di emigrare, in fondo, se l'Italia può creare La Breccia di Pisapia...
7 maggio 2011
Loghi Onesti
Victor Hertz, designer svedese davvero originale e creativo, ha reinterpretato molti loghi di prodotti che riempiono le nostre vite di consumatori del terzo millennio. La serie di disegni si chiama Honest Logos, e non è difficile comprendere il perché: è uno sguardo onesto e disilluso su brand molto noti...
Si va da "L'apparenza costa" sotto il logo Apple, al "Funzionenrà per un po'" di Windows, passando per il superbo "Procrastinazione" scritto con il lettering di Facebook.
La domanda ora è: la goccia di consapevolezza in più che ci regalano questi loghi onesti, riuscirà a farci essere consumatori più razionali e meno "dipendenti" dai brand??
Spero di sì, ma credo proprio di no.
Si va da "L'apparenza costa" sotto il logo Apple, al "Funzionenrà per un po'" di Windows, passando per il superbo "Procrastinazione" scritto con il lettering di Facebook.
La domanda ora è: la goccia di consapevolezza in più che ci regalano questi loghi onesti, riuscirà a farci essere consumatori più razionali e meno "dipendenti" dai brand??
Spero di sì, ma credo proprio di no.
21 aprile 2011
L'Operaio
Qualche giorno fa la corte d’Assise di Torino ha riconosciuto colpevole di omicidio volontario l’amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, per il rogo che il 6 dicembre del 2007 è costato la vita a sette operai dell’acciaieria torinese.
Quando, quattro anni fa, appresi della vicenda, scrissi una canzone di getto, con un sentimento confuso di tristezza e gratitudine per quegli operai. Era una canzone senza un reale intento autobiografico, in cui immaginavo un giovane della buona borghesia che vedeva il lavoro dell'operaio come un gesto d'amore per la società, un modo di donarsi al prossimo, scegliendo di essere l'ultimo, umile, ma essenziale "ingranaggio del sistema".
Per evitare di perdere quelle emozioni estemporanee, feci una registrazione con mezzi di fortuna, approfittando della presenza di mio fratello a Trento (che canta e suona molto meglio di me) e ne lasciai traccia in un post su questo blog.
Oggi che la nuova sentenza giudiziaria ha riaperto la ferita, ho pensato di riprendere quella registrazione e farne un video, per diffonderlo su YouTube ed altri canali web; nella convinzione che un singolo pensiero "condiviso" sia più rivoluzionario di qualsiasi sistema filosofico rimasto negli angoli solitari della mente di chi l'ha partorito.
Quando, quattro anni fa, appresi della vicenda, scrissi una canzone di getto, con un sentimento confuso di tristezza e gratitudine per quegli operai. Era una canzone senza un reale intento autobiografico, in cui immaginavo un giovane della buona borghesia che vedeva il lavoro dell'operaio come un gesto d'amore per la società, un modo di donarsi al prossimo, scegliendo di essere l'ultimo, umile, ma essenziale "ingranaggio del sistema".
Per evitare di perdere quelle emozioni estemporanee, feci una registrazione con mezzi di fortuna, approfittando della presenza di mio fratello a Trento (che canta e suona molto meglio di me) e ne lasciai traccia in un post su questo blog.
Oggi che la nuova sentenza giudiziaria ha riaperto la ferita, ho pensato di riprendere quella registrazione e farne un video, per diffonderlo su YouTube ed altri canali web; nella convinzione che un singolo pensiero "condiviso" sia più rivoluzionario di qualsiasi sistema filosofico rimasto negli angoli solitari della mente di chi l'ha partorito.
14 aprile 2011
Lettera a Riccardo Luna, direttore di Wired Italia
Caro Direttore,
le scrivo non in veste di lettore disaffezionato, come talvolta mi capita di leggere nelle lettere di apertura del magazine che dirige. Lungi da me ventilare minacce di "non rinnovare l'abbonamento": Wired è una rivista unica, speciale, e non smetterò mai di leggerla con vivo interesse.
Quanto segue, quindi, non riguarda minimamente la qualità della vostra rivista, che è e rimane di molto superiore a gran parte dell'offerta presente nel panorama dell'editoria periodica italiana.
Quello che volevo dirle riguarda semmai una scelta editoriale "secondaria" (ma nemmeno tanto secondaria): quella delle pubblicità che ospitate su Wired.
Lavoro in un'Agenzia di Comunicazione, quindi so bene quanto siano fondamentali le entrate delle inserzioni pubblicitarie per un qualsiasi magazine. E sono ben contento di poter avere una rivista come Wired a prezzi contenuti, accettando di essere "esposto" a comunicazioni di tipo promozionale. Mi ritengo un consumatore consapevole e credo che la pubblicità giochi un ruolo fondamentale in un'economia di mercato (sebbene oggi ci sia necessità di un approccio etico nel fare advertising).
Quello che però non riesco ad accettare è che una rivista come Wired non faccia scelte di campo su quali sponsorship accettare. Mi riferisco in particolare alla pubblicità di Finmeccanica, apparsa in terza di copertina nell'ultimo numero (di aprile) della sua rivista. Come lei sa, si tratta della principale industria militare del nostro Paese.
Lei che è stato promotore della campagna Internet for Peace e della candidatura dei Padri della Rete al Nobel per la Pace, speravo potesse chiudere a questo tipo di inserzionisti la rivista che dirige. Io credo che il pacifismo si costruisca a piccoli passi, e fare scelte editoriali sulla pubblicità che si veicola è uno di questi.
Certo, Finmeccanica utilizza tecnologie avanzate ed investe in ricerca più di qualunque altra realtà italiana; e quindi potrebbe passare per "wired". Invece no, non è "wired". La logica che gli investimenti sul militare abbiano ricadute sul civile è una bugia immensa: si investe 1000 sul militare per avere 10, dopo vent'anni, sul civile. Ma perché non si investe direttamente in ricerca quel 1000 che si regala a fondo perduto al militare? La ricaduta sarebbe immediata e con percentuali di impatto molto maggiori.
Sono anni che sento la storiella che internet lo dobbiamo alla ricerca militare. Ma è grazie allo sviluppo dei centri di ricerca universitari che la rete è diventata qualcosa di ben più importante che un esperimento della DARPA. Ed è grazie a Tim Berners-Lee che è nato il web. Diciamo solo che l'entità degli investimenti nella ricerca in campo militare fornisce strumenti superiori ad altri settori.
Perché non c'è nessun altro settore economico in grado di assorbire volumi così rilevanti di investimenti senza dover necessariamente sfornare un prodotto. Si chiama RICERCA DI BASE, quella che nelle nostre università ormai non si fa quasi più, perché si chiede loro di sostituirsi all'industria (che in Italia si limita a fare produzione e non innovazione) e fare quindi mera ricerca applicata.
Personalmente ho avuto modo di dire il mio NO alla logica di chi tollera questi squilibri nel sistema di ricerca italiano, apprezzando o addirittura sostenendo l'industria militare.
Mi farebbe piacere che anche lei prendesse una posizione in merito. Sarebbe quel piccolo passo verso un pacifismo fatto di testimonianze concrete.
Buon lavoro e in bocca al lupo per le sue importanti battaglie per lo sviluppo socio-economico del nostro Paese.
Luca Martino
le scrivo non in veste di lettore disaffezionato, come talvolta mi capita di leggere nelle lettere di apertura del magazine che dirige. Lungi da me ventilare minacce di "non rinnovare l'abbonamento": Wired è una rivista unica, speciale, e non smetterò mai di leggerla con vivo interesse.
Quanto segue, quindi, non riguarda minimamente la qualità della vostra rivista, che è e rimane di molto superiore a gran parte dell'offerta presente nel panorama dell'editoria periodica italiana.
Quello che volevo dirle riguarda semmai una scelta editoriale "secondaria" (ma nemmeno tanto secondaria): quella delle pubblicità che ospitate su Wired.
Lavoro in un'Agenzia di Comunicazione, quindi so bene quanto siano fondamentali le entrate delle inserzioni pubblicitarie per un qualsiasi magazine. E sono ben contento di poter avere una rivista come Wired a prezzi contenuti, accettando di essere "esposto" a comunicazioni di tipo promozionale. Mi ritengo un consumatore consapevole e credo che la pubblicità giochi un ruolo fondamentale in un'economia di mercato (sebbene oggi ci sia necessità di un approccio etico nel fare advertising).
Quello che però non riesco ad accettare è che una rivista come Wired non faccia scelte di campo su quali sponsorship accettare. Mi riferisco in particolare alla pubblicità di Finmeccanica, apparsa in terza di copertina nell'ultimo numero (di aprile) della sua rivista. Come lei sa, si tratta della principale industria militare del nostro Paese.
Lei che è stato promotore della campagna Internet for Peace e della candidatura dei Padri della Rete al Nobel per la Pace, speravo potesse chiudere a questo tipo di inserzionisti la rivista che dirige. Io credo che il pacifismo si costruisca a piccoli passi, e fare scelte editoriali sulla pubblicità che si veicola è uno di questi.
Certo, Finmeccanica utilizza tecnologie avanzate ed investe in ricerca più di qualunque altra realtà italiana; e quindi potrebbe passare per "wired". Invece no, non è "wired". La logica che gli investimenti sul militare abbiano ricadute sul civile è una bugia immensa: si investe 1000 sul militare per avere 10, dopo vent'anni, sul civile. Ma perché non si investe direttamente in ricerca quel 1000 che si regala a fondo perduto al militare? La ricaduta sarebbe immediata e con percentuali di impatto molto maggiori.
Sono anni che sento la storiella che internet lo dobbiamo alla ricerca militare. Ma è grazie allo sviluppo dei centri di ricerca universitari che la rete è diventata qualcosa di ben più importante che un esperimento della DARPA. Ed è grazie a Tim Berners-Lee che è nato il web. Diciamo solo che l'entità degli investimenti nella ricerca in campo militare fornisce strumenti superiori ad altri settori.
Perché non c'è nessun altro settore economico in grado di assorbire volumi così rilevanti di investimenti senza dover necessariamente sfornare un prodotto. Si chiama RICERCA DI BASE, quella che nelle nostre università ormai non si fa quasi più, perché si chiede loro di sostituirsi all'industria (che in Italia si limita a fare produzione e non innovazione) e fare quindi mera ricerca applicata.
Personalmente ho avuto modo di dire il mio NO alla logica di chi tollera questi squilibri nel sistema di ricerca italiano, apprezzando o addirittura sostenendo l'industria militare.
Mi farebbe piacere che anche lei prendesse una posizione in merito. Sarebbe quel piccolo passo verso un pacifismo fatto di testimonianze concrete.
Buon lavoro e in bocca al lupo per le sue importanti battaglie per lo sviluppo socio-economico del nostro Paese.
Luca Martino
10 aprile 2011
La responsabilità dello scienziato
“La preoccupazione per l’uomo e per il suo destino deve sempre costituire l’interesse principale di tutti gli sforzi dell’attività scientifica. Non dimenticatelo in mezzo ai vostri diagrammi ed alle vostre equazioni, affinché le creazioni della vostra mente siano una benedizione e non una maledizione per l’umanità”.
Albert Einstein
7 aprile 2011
5 aprile 2011
Piccoli manager crescono
Il sogno di tutti i dipendenti: essere comandati da una giovane manager che impartisce i comandi con la sola forza dei suoi occhioni... e scoprirsi felici ad ubbidirle!
2 aprile 2011
Il passerotto curioso
Un passerotto si lancia dal nido e, con i pochi rudimenti ricevuti dai genitori, comincia ad esplorare il mondo.
Incontra un cane e gli chiede: "Tu chi sei?"
Ed il cane: "Sono il cane lupo."
"Non può essere! Uno, o è cane o è lupo."
Il cane con tanta pazienza gli spiega: "Mia mamma era una lupa, mio papà un cane, hanno fatto sesso e sono nato io, il cane lupo."
Il passerotto si reca perplesso presso un ruscello per bere e qui vede un pesce e chiede: "E tu chi sei?"
E il pesce: "Sono la trota salmonata."
"Non è possibile, uno, o è trota o salmone!"
E la trota: "Mia mamma era trota, papà salmone, hanno fatto sesso e sono nata io."
L'uccellino, sempre più confuso, si gira e vede un insetto e chiede: "E tu chi sei?"
E l'insetto: "sono la zanzara tigre....."
E il passerotto: "Ma fammi il piacere!!!"
Incontra un cane e gli chiede: "Tu chi sei?"
Ed il cane: "Sono il cane lupo."
"Non può essere! Uno, o è cane o è lupo."
Il cane con tanta pazienza gli spiega: "Mia mamma era una lupa, mio papà un cane, hanno fatto sesso e sono nato io, il cane lupo."
Il passerotto si reca perplesso presso un ruscello per bere e qui vede un pesce e chiede: "E tu chi sei?"
E il pesce: "Sono la trota salmonata."
"Non è possibile, uno, o è trota o salmone!"
E la trota: "Mia mamma era trota, papà salmone, hanno fatto sesso e sono nata io."
L'uccellino, sempre più confuso, si gira e vede un insetto e chiede: "E tu chi sei?"
E l'insetto: "sono la zanzara tigre....."
E il passerotto: "Ma fammi il piacere!!!"
2 marzo 2011
Pubblicità etica: ossimoro o possibile strada per un nuovo tipo di comunicazione promozionale?
Recentemente un documentario sul ruolo delle donne nella televisione italiana (dal titolo "Il corpo delle donne"), ha aperto un dibattito molto acceso sul degrado etico di questo media; sul banco degli imputati, inevitabilmente, è finita soprattutto la pubblicità.
Occupandomi di advertising per lavoro, mi sono sempre chiesto se fosse inevitabile l'uso degli istinti primari di base (fra i quali il sesso), per ottenere una comunicazione promozionale di successo. In fondo la fame, la rabbia, la paura, il desiderio sessuale, o il voyeurismo, sono leve forti e di comprovata efficacia. Non è un caso se molte delle adv che vediamo su stampa e TV sono incentrate su questi bisogni primari.
Ma mi sono convinto che questa pratica non è necessaria e, soprattutto, è solo una scorciatoia per pubblicitari poco creativi e per brand poco illuminati.
Le migliori agenzie di comunicazione, infatti, si sforzano di sviluppare pubblicità che coinvolgano e convincano per il loro contenuto creativo. È forse più difficile, ma è la strada giusta.
E lo dico non per buonismo, o per un senso etico fine a se stesso, ma perché credo sia necessario pensare alla pubblicità come il processo finale di un percorso che parte dal consumatore. In questa ottica "conviene" alle aziende avere una pubblicità che non sia degradante o offensiva, perché, prima di ogni obiettivo di memorabilità delle campagne di advertising, bisogna avere una brand image pulita, solida, eticamente corretta, presso un pubblico che sia il più ampio possibile (non solo il proprio target).
L'advertising, quindi, può e deve essere espressione di strategie di marketing lungimiranti ed etiche. Se al centro del processo di marketing c'è il cliente (come scrivevo tempo fa in Marketing & Etica), la soddisfazione dello stesso, prima ancora che dal prodotto, parte dal modo di coinvolgerlo nella scelta stessa del prodotto. Il ruolo della donna nell'advertising dovrebbe essere quindi ripensato anche perché degradante per le strategie di "catching" dei brand.
Non c'è Codice di Autodisciplina che tenga di fronte agli obiettivi commerciali di un'azienda. Ma i pubblicitari devono far capire ai propri clienti (e in certi casi convincersi essi stessi) che è "ontologicamente sbagliato" avere atteggiamenti opportunisti e poco etici nelle loro campagne pubblicitarie.
Occupandomi di advertising per lavoro, mi sono sempre chiesto se fosse inevitabile l'uso degli istinti primari di base (fra i quali il sesso), per ottenere una comunicazione promozionale di successo. In fondo la fame, la rabbia, la paura, il desiderio sessuale, o il voyeurismo, sono leve forti e di comprovata efficacia. Non è un caso se molte delle adv che vediamo su stampa e TV sono incentrate su questi bisogni primari.
Ma mi sono convinto che questa pratica non è necessaria e, soprattutto, è solo una scorciatoia per pubblicitari poco creativi e per brand poco illuminati.
Le migliori agenzie di comunicazione, infatti, si sforzano di sviluppare pubblicità che coinvolgano e convincano per il loro contenuto creativo. È forse più difficile, ma è la strada giusta.
E lo dico non per buonismo, o per un senso etico fine a se stesso, ma perché credo sia necessario pensare alla pubblicità come il processo finale di un percorso che parte dal consumatore. In questa ottica "conviene" alle aziende avere una pubblicità che non sia degradante o offensiva, perché, prima di ogni obiettivo di memorabilità delle campagne di advertising, bisogna avere una brand image pulita, solida, eticamente corretta, presso un pubblico che sia il più ampio possibile (non solo il proprio target).
L'advertising, quindi, può e deve essere espressione di strategie di marketing lungimiranti ed etiche. Se al centro del processo di marketing c'è il cliente (come scrivevo tempo fa in Marketing & Etica), la soddisfazione dello stesso, prima ancora che dal prodotto, parte dal modo di coinvolgerlo nella scelta stessa del prodotto. Il ruolo della donna nell'advertising dovrebbe essere quindi ripensato anche perché degradante per le strategie di "catching" dei brand.
Non c'è Codice di Autodisciplina che tenga di fronte agli obiettivi commerciali di un'azienda. Ma i pubblicitari devono far capire ai propri clienti (e in certi casi convincersi essi stessi) che è "ontologicamente sbagliato" avere atteggiamenti opportunisti e poco etici nelle loro campagne pubblicitarie.
22 febbraio 2011
Gheddafi come Berlusconi
... Per concludere la serie, non può mancare il post "Gheddafi come Berlusconi". Alcuni punti in comune li avevamo già evidenziati tempo fa, ma oggi è tremendamente triste ribadire questa somiglianza.
C'è solo da auspicare che il popolo italiano riesca ad avere un scatto rivoluzionario come lo sta avendo quello libico in questi giorni. Ma dubito fortemente che ne sia in grado.
C'è solo da auspicare che il popolo italiano riesca ad avere un scatto rivoluzionario come lo sta avendo quello libico in questi giorni. Ma dubito fortemente che ne sia in grado.
15 febbraio 2011
10 febbraio 2011
Mubarak come Berlusconi
Notizia di qualche minuto fa: Mubarak non va via, non si schioda dalla poltrona, resta fino alle elezioni di settembre.
A questo punto mi viene spontaneo dire, sulla scia del post precedente: Mubarak come Berlusconi.
... Povero Egitto, povera Italia!
A questo punto mi viene spontaneo dire, sulla scia del post precedente: Mubarak come Berlusconi.
... Povero Egitto, povera Italia!
31 gennaio 2011
Berlusconi come Al Capone
Questo post poteva chiamarsi "Elogio del cavillo legale", o "Meno male che c'è la magistratura", ma forse "Berlusconi come Al Capone" riassume meglio il concetto: per sconfiggere un criminale scaltro servono giudici scaltri.
Per quanto assurdo possa sembrare, l'Italia non è in grado di liberarsi con la partecipazione democratica di quel cancro che è Berlusconi. Ci deve pensare la magistratura, perché la maggioranza degli italiani forse lo rivoterebbe e i leader politici dell'opposizione non sono in grado di fare alcunché (sono anzi corresponsabili del ventennio berlusconiano che stiamo vivendo).
Quindi non ci resta che riporre un briciolo di speranza nella magistratura, terzo potere dello Stato che, grazie al cielo, conserva ancora quell'indipendenza alla base dello stato di diritto teorizzato da Montesquieu e sancito dalla nostra Costituzione.
Un amico mi ha fatto notare che anche il famoso Al Capone, gangster di spicco nella Chicago degli anni '30, fu incastrato solo grazie ad un impianto accusatorio basato sul reato di evasione fiscale.
Nel caso del Berlusca la vicenda è un tantino più squallida, ma speriamo che gli esiti siano gli stessi: la fine di un dramma.
Per quanto assurdo possa sembrare, l'Italia non è in grado di liberarsi con la partecipazione democratica di quel cancro che è Berlusconi. Ci deve pensare la magistratura, perché la maggioranza degli italiani forse lo rivoterebbe e i leader politici dell'opposizione non sono in grado di fare alcunché (sono anzi corresponsabili del ventennio berlusconiano che stiamo vivendo).
Quindi non ci resta che riporre un briciolo di speranza nella magistratura, terzo potere dello Stato che, grazie al cielo, conserva ancora quell'indipendenza alla base dello stato di diritto teorizzato da Montesquieu e sancito dalla nostra Costituzione.
Un amico mi ha fatto notare che anche il famoso Al Capone, gangster di spicco nella Chicago degli anni '30, fu incastrato solo grazie ad un impianto accusatorio basato sul reato di evasione fiscale.
Nel caso del Berlusca la vicenda è un tantino più squallida, ma speriamo che gli esiti siano gli stessi: la fine di un dramma.
"Scarfake" (elaborazione grafica realizzata da Paolo Palmacci) |
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