GIOVANNI: Interessante! L'esempio però è falsato... ci sarebbe sulla scatola il posto per indicare dove è stato prodotto, i controlli che sono stati fatti sulle materie prime e informazioni su cosa si sta realmente comprando, invece che la targhetta "Isy Pil" sul tonno o la scritta "Live Miusic". Anche l'inglese ne gioverebbe!
LUCA: Non è che l'esempio sia falsato... è solo una semplificazione. Le note sul prodotto a cui tu fai cenno sarebbero prese in considerazione da un consumatore razionale, che compie le sue scelte in base ad un'attenta valutazione del rapporto costi/benefici (intendendo per benefici anche lo scarso impatto ambientale, la salubrità degli ingredienti, la bontà del processo produttivo, ecc.).
Ma l'uomo non è un animale razionale.
Anche la teoria marginalista, che domina le analisi proprie della microeconomia moderna, ci insegna che il valore imputato ad un bene è un fatto estremamente soggettivo. Tale valore è sempre più frutto di impulsi emotivi, e poco di valutazioni razionali.
Tornando all'esempio di Geppi De Liso, il prezzo sarebbe l'unica discriminate capace di influenzare le scelte d'acquisto. In pratica un acquirente non sarebbe disposto a pagare di più per un prodotto del "Commercio Equo e Solidale", se non fosse gratificato dal vedere sulla confezione che acquista il logo indicativo di tale mercato, se non ci fossero messaggi testuali che gli assicurassero la bontà della sua scelta d'acquisto.
E quei messaggi li scrive un copywriter, quei loghi li fa un grafico.
Cioè chi fa marketing.
In ultima analisi anche scrivere "Luogo di produzione: Italia", oppure "Questo prodotto è stato coltivato al caldo sole dell'Italia, nel pieno rispetto delle normative in vigore", fa differenza! Scegliere tra una frase o l'altra è una scelta di brand identity; la prima prettamente informativa, la seconda più emozionale.
... In pratica, mere scelte di marketing.
GIOVANNI: Trovo inquietante che inizi ad essere la domanda a determinare l'offerta in questo modo: quando chi produce cerca di soddisfare chi compra invece che la sua voglia di fare bene il proprio lavoro la cosa si fa pericolosa.
Visto così il marketing non è una cosa che si può scegliere, se ci metti dentro qualsiasi scelta a monte di uno scambio tutto è marketing, allora si tratta solo di farlo per il """bene""". Mettere un nudo in copertina e raddoppiare le vendite di un settimanale è anche quello marketing come aiutare un produttore a mettere a fuoco i punti di forza del suo lavoro e informarne i futuri clienti.
A me sembra che il vero problema sia la creazione di bisogni indotti e la deviazione degli istinti per aumentare le vendite.
È marketing volendo anche il passaparola, ma quello porta con se contenuti, non solo richiami per l'inconscio: mi dice che tipo di persone hanno apprezzato un prodotto e spesso per me rappresenta una pubblicità negativa, mi consente di fare una scelta con più informazioni...
Se ti rivolgi ad un pubblico che non è in grado di effettuare scelte razionali è come avere a che fare con un gregge di pecore: puoi anche portarle tutte al macello, il tuo potere su di loro ti permette di farti domande su cosa gli stai facendo o fregartene. Il problema morale li sfuma, è difficile in quel caso dire cosa sia giusto, puoi considerare i cori razzisti negli stadi un risultato della natura da difendere come la foresta amazzonica...
A mio parere le cose sono giuste o sbagliate solo se ci sono libertà da difendere.
LUCA: In effetti il problema della responsabilità del singolo permane: fare marketing etico è una scelta degli operatori, che si rinnova di volta in volta in ogni progetto, perché è dietro l'angolo la tentazione di creare "bisogni indotti".
Nella mia analisi mi sono limitato a dire che il Marketing non è "ontologicamete sbagliato". Ma, come per il mondo della Ricerca, rimane la responsabilità del singolo che sceglie l'approccio al problema e l'utilizzo delle risorse metodologiche e tecnologiche nel pieno rispetto di idee e ideali a lui cari.
... E, per quanto mi riguarda, ritengo le libertà da difendere, come te, prioritarie!